La vita per l'arte o l'arte per la vita?
È il 1890 nell'Inghilterra Vittoriana, periodo noto per la forte attenzione rivolta ai costumi sociali e per le notevoli crisi economiche dell'impero. Lontani solo di vent'anni dalla prima guerra mondiale ed a un passo dal crollo delle borse il fermento xenofobo aumenta come in ogni momento di crisi, ma il movimento decadente Europeo regala grandi opere letterarie, come il caso del vate D'Annunzio ed il qui presente romanzo.
Lo stile "inglese puro" è quasi irrealizzabile, perché Wilde, poeta e scrittore aulico, non riuscirebbe con le poche parole inglesi a comporre un racconto così lungo ed altrettanto piacevole. L'arte della parola sublime permane in quest'opera e l'uso sapiente di pensieri e parole si affianca al paradosso che rende brillante e sorprendente il discorso.
Tutta l'opera ruota attorno al protagonista, Dorian, amico di Harry e Basil. Tutti appartengono all'aristocrazia Londinese e sono assidui frequentatori della vita mondana, potendo permettersi di vivere senza lavorare e per l'appunto dedicandosi all'amore per l'arte e l'esteriorità . Incarnano lo stereotipo del "dandy", per intendersi gli esteti dell'Ottocento. Dal punto di vista sociale tutto questo risulta interessante perché grazie alla diffusione di massa del lusso, anche i nobili decadenti potevano permettersi una vita agiata e soprattutto vedere ingrandirsi le fila di nuovi arrivati nell'alta società.
Per quanto riguarda l'ambito letterario Wilde riesce a mimetizzarsi in questi personaggi, nascondendo in ognuno un po' del suo carattere. Basil è difatti un pittore, come tale creatore d'opere e come il suo ideale d'artista è una persona capace di inserire sé stesso nelle opere. Harry è il nobile dissoluto, l'incarnazione della mondanità e del lieto vivere tra caffè e salotti aristocratici. Ma più di tutti Wilde si nasconde in Dorian, che per mantenere intatta la sua giovinezza vende l'anima al diavolo come nella leggenda del "faust". L'aspetto di Dorian resta infatti invariato, nonostante le molte crudeltà commesse, ed il suo ritratto, eseguito da Basil, come un simulacro, assume l'aspetto orribile e spregevole del soggetto che impersona. Si capovolge un'ideale classico: l'opera non è più immortale, bensì invecchia ed imbruttisce per lasciare invariato il soggetto ritratto. Inizialmente potrebbe sembrare il sogno di chiunque, ma leggendo ci si accorge che non è così, perché Dorian si accorge che un costante raffronto con la propria coscienza porta a tormenti e ad inquietudini e lo stesso Wilde svela come non sia importante l'aspetto esteriore delle persone, se per tutelarlo sia necessaria una simile tortura.
Grazie ad un andamento narrativo simmetrico, è piacevole seguire le vicissitudini di Dorian e del suo ritratto, restando a cavallo tra realtà ed immaginazione, quasi come se gli avvenimenti fossero falsi o privi di conseguenze. Gl'incontri tra personaggi sono scanditi anche da omicidi e scabrosi ricatti ed ognuno può trarre le proprie conclusioni dagli insegnamenti nascosti nei fatti.
Il genio di Wilde è qui. Quest'opera ricorda uno dei suoi tanti aforismi, che ha saputo sapientemente ingrandire ed intrecciare fino a creare un classico il quale, partendo dalla tradizione antica, riporta la contemporaneità in maniera lucida.
Vi auguro una buona lettura e vi esorto a cogliere come la società presentata in questo libro sia la madre della nostra.
Gabriele Antonietti
|