In questo saggio poetico è evidente il tentativo di Lord Byron di narrare di sé, nascondendo alquanto bene le proprie fattezze all'interno di paesaggi ed ambientazioni quasi psichedeliche. Una serie di racconti come "Il corsaro" sono raccolti dalla critica nel cosiddetto ciclo delle Oriental tales in versi; sono storie Gotiche e romantiche, d'amore, vendetta ed avventura, amori forzati alla separazione e morte. M.K. Joseph definisce questa serie di racconti "racconto orientale del terrore." Nel corsaro si nota sempre più il rimorso di Byron, un sentimento che affiorava di pari passo con l'avanzare della sua componente femminile. Tutta la narrazione è accompagnata da un novelliere onnisciente, rendendola più semplice ed unitaria, ma è molto più importante il carattere e l'introspezione di Conrad, il protagonista del racconto, il titano.
     In lui si mescolano diverse componenti, che vanno dall'essere un bandito, quindi criminale, alle virtù del combattente contro i Turchi. Dal salvatore delle donne nell'harem, al far legge per sé "il non colpire mai il nemico se non a viso aperto".
     Sin dalle prime righe si scorge un mistero racchiuso nel protagonista, la diffidenza e l'esperienza che ricalcano le vicissitudini incontrate per mare da Conrad, l'impenetrabilità delle terre lontane. La descrizione di questi versi toglierebbe splendore alle parole descrittive delle ambientazioni in continuo mutamento a causa del continuo viaggio di Conrad, influenzato da omicidi compiuti da donne, una novità per il romanticismo. Anche l'amore e la musica costituiscono grandi innovazioni, che per mezzo di Medora entrano nel mondo romantico fatto tradizionalmente della tipizzazione di guerra ed odio.
     Alcuni stralci dell'opera enfatizzeranno ancor più il percorso di Conrad dalla pirateria alla sparizione finale dettata dalla morte di Medora, che lo condanna a vagare senza meta nel buio come altri eroi classici votati alla peregrinazione continua per espiare una propria mancanza.
                                                                               Gabriele Antonietti

Fine del racconto:
non si volge, non parla, non vien meno, [.]
Per indole era dolce il cuore del corsaro;
Solo più tardi al male si era volto.
Svelato troppo presto, troppo a lungo ingannato, ogni suo casto affetto cadde
Sì come l'acqua a goccia a goccia nella grotta cade,
E come quella si era raggelato;
Con minor limpidezza passò le prove sue terrene,
Ma cadde, diventò di ghiaccio e alfin si fece pietra. [.] a lungo lo pianse la sua ciurma
Che mai tanto non pianse per alcuno;
Un degno monumento funebre innalzano i pirati alla sua sposa,
Ma pietra non erigon in memoria di lui,
Chè la sua morte è dubbia, le imprese troppo note e Malfamate.
Egli lascia alle future età un nome di Corsaro Legato a un'unica virtù e a innumeri delitti.


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