Il buono pasto rappresenta una soluzione per le imprese al problema della ristorazione, offrendo anche vantaggi pratici e fiscali alla portata di ogni tipologia di azienda, che non sempre è infatti in grado di organizzare una mensa interna con strutture a norma di legge; la presenza di sedi distaccate, filiali o personale in trasferta, inoltre, complicano ulteriormente le cose. Ecco allora che si presenta la soluzione dei buoni pasto, accettati di buon grado dai dipendenti che ne possono usufruire con grande libertà ed ampia gamma di scelta. Sono sempre di più i ristoranti, i fast-food, le pizzerie, i bar che accettano questa forma di pagamento, almeno per il momento.
Inizialmente, i vantaggi per un'azienda che adotta detti coupons sono rappresentati dal fatto che non prevedono un'immobilizzazione né di spazi né di capitali, consentendo un'immediata identificazione dei costi di gestione del servizio ed un'importante incentivazione alla presenza dei dipendenti: i buoni, infatti, sono assegnati mensilmente sul computo delle presenze lavorative effettive. Il maggiore vantaggio per l'azienda è tuttavia fiscale: i costi fissi del servizio, facilmente identificabili, possono essere detratti in sede di bilancio in qualità di spese aziendali. Il valore del buono non è sottoposto ad oneri fiscali né previdenziali e garantisce quindi, rispetto all'indennità di mensa in busta paga, un notevole risparmio economico per l'azienda.
La situazione ora sta cambiando: 60 mila bar e ristoranti che da sempre hanno accettato i ticket e che fanno parte della Fipe, l'associazione di Confcommercio, potrebbero richiedere solo contanti. La protesta entrata nel vivo nel mese di giugno sta già raccogliendo numerose adesioni. Il motivo dell'iniziativa promossa dagli esercenti? Le commissioni, ritenute spropositate e che vanno dal 5 e il 13%, richieste dalle società che emettono i coupon e la necessità di un intervento organico in materia da parte del governo. Sono circa 2,5 milioni i cittadini che ogni giorno pagano il pranzo in questo modo, per un giro d'affari che la Fipe calcola per 2,5 miliardi di euro l'anno, e che da oggi rischiano di trovarsi con dei buoni non convertibili in pasto. Allo sciopero dei buoni pasto potrebbero anche aderire 24 mila tra piccoli alimentari, gastronomie, rosticcerie, salumerie, aderenti alla Fida-Confcommercio, Federazione Italiana Dettaglianti dell'Alimentazione che, sempre più agguerrita nelle sue rivendicazioni, annuncia una guerra ad oltranza. La posta in gioco è infatti ''molto alta''.