LE MOSTRE SUGL'IMPRESSIONISTI? BELLE MA CHE NOIA
                                 di Cristiano Calori

     La mostra collaterale sull'ottocento italiano mi dà lo spunto per fare un'analisi di come ciascuna nazione sa esportare la propria immagine e la propria cultura. Premesso che l'impressionismo francese è stato una deflagrazione meravigliosa nell'arte della fine del XIX° ed ha condizionato la maggior parte delle avanguardie del XX° secolo, bisogna riconoscere che i francesi sono stati molto bravi nel valorizzare e nel capitalizzare con successo questo merito. Inoltre l'arte della seconda metà dell'ottocento parla francese, non c'è dubbio, ed è inutile cercare di accostare le scuole locali dell'ottocento italiano con la pittura impressionista che esplose a Parigi dopo il 1863, anno della presentazione al Salon dés Refusée de "La colazione sull'erba", di Edouard Manet.
     È giusto, oltre che legittimo, che ogni paese valorizzi le migliori espressioni della propria cultura; ma se si parla di tutto il XIX secolo in senso assoluto la partita tra ottocento italiano e francese è tutta da giocare. Il successo di tutte queste mostre sugli impressionisti francesi mi lascia comunque il dubbio che la maggior parte dei visitatori ignori l'importanza o non abbia avuto la possibilità di vedere grandi mostre sull'ottocento italiano, a parte alcune curate dal Prof. Fernando. Mazzocca negli ultimi anni, soprattutto a Milano. Le arti italiane e lombarde di pittura, scultura e architettura, della prima metà dell'ottocento sono di assoluto valore mondiale. Gli artisti da tutto il mondo venivano all'inizio dell'ottocento a Roma per iniziare il Grand tour in tutte le città italiane. Soprattutto Roma, ma anche Milano, furono all'inizio di quel secolo ciò che Parigi è stata alla fine dell'ottocento. Perché non approntare anche a Bergamo una grande mostra del periodo dei Gran Tour e delle Accademie?
     Non dimentichiamoci che la nostra Accademia Carrara contava a livello nazionale e molti degli artisti usciti dall'Accademia andarono a Roma e strinsero rapporti con i maggiori maestri del periodo. Non si tratta di perorare cause più o meno nazionalistiche, ma di ri-proporzionare l'offerta di mostre che si occupino di ottocento italiano-e lombardo-, che non significa morire di provincialismo, ma approfondire obbiettivamente e analiticamente i movimenti che hanno condizionato la storia dell'arte del mondo occidentale a scapito di facili mode ed operazioni di marketing.
     Oppure impariamo dalla Francia a valorizzare ed esportare una cultura ed un'immagine che tutto il mondo ci invidia?

 
 
 
 
 
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