Fece notare che esse dovevano pur esistere, essendo state trovate le seconde copie, e che dovevano trovarsi in qualche covo delle BR, non tralasciando però l’ipotesi che qualcuno potesse averle trovate e fatte sparire. Sta di fatto che le fatidiche “borse Moro” non furono mai trovate. Recentemente, a seguito di lavori di ristrutturazione di un appartamento a Milano, in via Monte Nevoso, sono stati ritrovati nell’intercapedine di una finestra dei documenti che “sembrano” appartenere al caso Moro e ciò avvalora la tesi sostenuta a suo tempo dal generale.
     Il 2 aprile di quell’anno scrisse, all’allora presidente del consiglio Giovanni Spadolini, che “la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la famiglia politica più contaminata da infiltrazioni mafiose”. Il successivo 2 maggio fu improvvisamente inviato in Sicilia come Prefetto di Palermo per combattere la mafia. Le indagini sui terroristi furono assegnate ad altre persone e di fatto, ad oggi, ancora permangono molte ombre sulla vicenda Moro. Il 2 luglio sposò in seconde nozze Emanuela Setti Carraro, da diversi anni al suo fianco come fedele compagna, dopo la scomparsa dell’amatissima moglie Dora Fabbro.
     Il ministro dell’interno Virginio Rognoni pensava già da diverso tempo alla nomina di Prefetto per Dalla Chiesa. Il potere della mafia dilagava in tutta l’isola e il generale di ferro sembrava essere la persona giusta per fermarlo. Dalla Chiesa, consapevole di come vanno le cose in certi ambiti politici, era perplesso sull’accettare o meno l’incarico: il ministro gli promise ogni possibile aiuto, uomini, poteri, mezzi e fondi per dedicarsi alla lotta alla mafia, ma purtroppo questi aiuti arrivarono troppo tardi, Dallas fu lasciato solo a combattere contro la criminalità organizzata. Un pensiero era comunque chiaro nella mente del generale: nella lotta a Cosa Nostra la morte è una costante con la quale bisogna sempre fare i conti. Emblematica una frase del giudice Falcone, anch’egli caduto nella lotta contro la mafia: “Purtroppo, in questa difficile lotta gli errori si pagano (…) se i mafiosi commettono un errore, lo pagano: se lo commettiamo noi, ce lo fanno pagare. Da tutto questo bisogna trarne una lezione. Chi rappresenta l’autorità dello Stato in territorio nemico ha il dovere di essere invulnerabile, almeno nei limiti della prevedibilità e della fattibilità”. A volte, purtroppo, Cosa Nostra si è dimostrata più forte: di Dalla Chiesa, di Borsellino, di Falcone stesso.
     La legislatura in vigore nell’isola di certo non era d’aiuto al generale: in base all’art. 31 dello Statuto Regionale della Sicilia, le forze di polizia sono sottoposte disciplinarmente al governo regionale, pertanto, se esso è di stampo mafioso ha
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Dalla Chiesa, Aldo Moro, Totò Riina, Greco di Ciaculli, Corleonesi, Totò Greco, Andreotti, Borsellino, Falcone, Emanuela Setti Carraro, Dora Fabbro, Virginio Rognoni