cifre spesso prive di effettivo riscontro. L’immigrazione, sia essa extracomunitaria che comunitaria , quest’ultima circoscritta alle vaste aree dell’est europeo,  rappresenta oggi un problema sul quale riflettere e che si è inevitabilmente tradotto ora in male necessario, ora in potenziale ricchezza, ora in evoluzione verso una forma di società multietnica, ora in mantenimento forzato di un’economia di mercato ormai consolidata. Comunque la si voglia qualificare, la questione dell’immigrazione genera perplessità, timore, sdegno e scetticismo e credo che la collettività sia realmente consapevole di una trasformazione epocale che nel medio termine potrebbe incidere pesantemente nel contesto sociale e culturale. Se, poi, a questo fattore si aggiunge la riprovevole ipocrisia collettiva, retaggio di un modo di pensare tipicamente italico, si può ben affermare che il nostro Paese è destinato, più degli altri, ad un marcato declino.
     L’apice del benessere, collocato alla fine degli anni ottanta, ha generato, tra l’altro, una società dal ventre molle e rinunciataria, impreparata a cogliere le metamorfosi sociali e proiettata nella logica dei consumi, abbagliata dalla pubblicità e dal gossip, rivolta quasi esclusivamente a costruire personali paradisi di svago senza riflettere sul futuro prossimo. Le interminabili diatribe sulle scuole straniere, sulle moschee, sul diritto al voto per gli extracomunitari nelle consultazioni amministrative e via dicendo, rappresentano la punta di un iceberg o forse solo l’inizio di una vera rivoluzione culturale e sociale che oggi trova impreparata ma colpevolmente alleata una classe politica nazionale e locale. In questo ambito le istituzioni languono, assorbite dalla tendenza di cogliere nel fenomeno migratorio la possibilità di un potenziale contenitore elettorale in divenire, sviate dalla paura di inimicarsi intellettuali e borghesia ipocrita protesa a giustificare sempre e comunque il fenomeno e tutte le sue derive, inibite dalla richiesta crescente di interventi anche autoritari per contrastare il dilagare di quella criminalità straniera ormai radicatasi sul territorio.
     Il problema è essenzialmente politico ancor prima che epocale, dal momento che i governi hanno sposato una condotta prudente e conservatrice che si limita ad interventi “pubblicitari”, non risolutivi, politicamente accettabili in quanto condivisibili dalle opposizioni e, quindi, scarsamente efficaci. Le conseguenze di tali condotte non fanno, però, altro che rafforzare quel senso di dilagante insicurezza nell’opinione pubblica e ridurre la percezione di legalità che dovrebbe essere fonte ispiratrice e principio inderogabile di qualsiasi aggregazione sociale.

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