COMPETITIVITÀ, INFRASTRUTTURE E POLITICA DEL DISSESTO
                                 di Pierluigi Piromalli

     Il Bel Paese, a ben guardare le statistiche internazionali, è da tempo afflitto dalla sindrome del gambero che ha spinto progressivamente la nazione negli ultimi posti della classifica dei paesi europei con minore competitività e con limitata crescita del proprio PIL interno. La causa principale, neanche a dirlo, risiede nell’inerzia della classe dirigente, i cui artefici, da quando hanno cessato, per evidente incapacità, di predicare l’ars politica salvo concentrarsi sui problemi di second’ordine, hanno favorito il rallentamento, già fisiologico, dell’economia, complice, altresì, una flessione generalizzata dei mercati internazionali.
     L’Italia dei Totò, del calcio, della pizza, della moda, delle auto e del mare con le bandierine blu generosamente distribuite da goletta verde che, baldanzosa, solca il bacino del Mediterraneo, si era forse illusa di potersi compiacere a lungo, magnificando il proprio ruolo di nazione che dal dopoguerra in poi ha saputo trasformare la società e proiettarla nel Gotha delle potenze industrializzate, dimenticando che i troppi compromessi di una politica statalista e assistenziale non avrebbero potuto garantire uno status quo imperituro.
     Il Paese fino agli anni dell’edonismo targato anni Ottanta ha vissuto al di sopra delle proprie reali possibilità, ignorando le voragini nei conti pubblici e la dissennata dispersione di risorse e rinviando, a data da destinarsi e sulle note del grande maestro Morricone, la fatidica “resa dei conti”, che prima o poi avrebbe evidenziato le storture di un sistema distonico rispetto a quello dei paesi del vecchio continente. L’avvento della moneta unica ha, poi, cancellato definitivamente le illusioni di un’economia interna che si auto-alimentava attraverso le periodiche svalutazioni monetarie, per proiettare il paese nella cerchia dell’Unione Europea, controllore instancabile e rigoroso della spesa pubblica e degli indici di competitività.
     Recuperare il tempo perduto non è oggi opera facile se si pensa che l’Italia è in mostruoso ritardo strutturale rispetto alle nazioni d’Oltralpe, che possono vantare una più oculata gestione della cosa pubblica ed un più trasparente utilizzo delle risorse finanziarie. I disastri istituzionalizzati perpetrati dai ministeri, dai governi, dagli enti pubblici territoriali e dalle forze politiche locali hanno, quindi, nel tempo, cronicizzato i malanni storici del Paese nel quale, si sa, di tutto si discorre fuorché dei veri problemi irrisolti. Così, da una parte, si

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