ORIANA FALLACI, RICORDO DI UNA GRANDE ITALIANA
                                 di Silvia Ferrari

     15 settembre 2007. È già passato un anno dalla scomparsa della giornalista e scrittrice italiana più celebre e talentuosa, Oriana Fallaci. Difficile dire cosa sia stata questa donna per la sua Italia, per il mondo. Troppe le voci contrastanti, troppi i detrattori crudeli che anche nel giorno dell'anniversario della sua morte hanno dimostrato la loro ignoranza deturpando la targa in suo onore con scritte offensive, ma Oriana è sempre stata una outsider, una che non può risultare indifferente; come tutti i grandi della Storia o la si ama o la si odia. Per me, come per tanti, la bilancia pende decisamente per il piatto dell'ammirazione e del rispetto.
     Avevo appena iniziato il liceo quando un'intelligente professoressa di Diritto ci diede, come compito delle vacanze, un libricino: “Lettera a un bambino mai nato”.  L'impatto non fu dei migliori, una quattordicenne non riesce a comprendere fino in fondo il significato di un libro così crudo e delicato al tempo stesso. Una cosa però mi aveva colpito: la scrittura forte, potente, armonica nel suo dipanarsi elegante e perfetto, di questa autrice per me sconosciuta. Cominciai a interessarmi “all'Oriana”, come l'avrei sempre chiamata in seguito, e una dopo l'altra lessi le sue opere. Scoprii che non erano moltissime, che Oriana era stata corrispondente di guerra, era una giornalista famosa e molto quotata; gli articoli non erano sempre facili da reperire, ma quando me ne capitava sottomano uno rimanevo sempre allibita dalla bellezza della sua penna, volevo diventare come lei. Come nel più classico dei cliché, la ragazzina che sogna di diventare come il suo mito... avevo già la passione della scrittura, dopo Oriana fui ancora più convinta di voler scrivere: come lei.
     Mi affascinava anche il fatto che vivesse, ormai da anni, a New York: che forza, che risolutezza! Una donna internazionale, colta, indipendente, il miglior esempio vivente di femminismo che nessuna delle “ribelli” anarcoidi della mia scuola riusciva lontanamente ad eguagliare: tutte improvvisamente mi sembravano scialbe, ridicole, delle caricature di fronte a una presenza così granitica e ingombrante. Era diventata la “mia” Oriana e ne ero molto gelosa: leggevo i suoi libri a volte con la pretesa di carpirne profondamente le implicazioni, a volte lasciandomi semplicemente prendere dall'emozione di trame così perfette e scritte così divinamente. Non perdevo occasione di parlarne con le poche compagne di classe che sapevano chi fosse, con la mia impareggiabile professoressa di italiano che, mi scrisse accanto al voto di un tema in classe, si emozionò leggendo il mio scritto su di lei.

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