Dopo molte traversie ottiene la cittadinanza e inizia a lavorare in fabbrica a Minsk. Conosce e sposa una giovane del posto, Marina, ma anche l'esperienza russa è deludente: la realtà della fabbrica è ben diversa dai sogni di un Eden rivoluzionario accarezzati da Oswald. Ritorna così in patria, con moglie e figlioletta appena nata, passando da un lavoro all'altro, mentre l'ossessione per la rivoluzione comunista cresce insieme alla passione per le armi da fuoco. Nel novembre del 1963, Oswald mette a segno il colpo più dimostrativo che avesse potuto immaginare, uccidendo il Presidente. O forse no. Perché quel secondo sparo, si dice, era troppo ravvicinato per poter essere stato sparato dalla stessa arma, dall'angolazione impossibile per la posizione in cui si trovava Oswald, soprattutto con un fucile impreciso come il Carcano della Seconda Guerra Mondiale. Questi punti non ancora chiariti sono alla base di quella che è definita come una “teoria del complotto”. Oswald sarebbe stato solo un burattino attirato in un gioco più grande di lui, un capro espiatorio scelto con cura dai servizi segreti americani, veri responsabili dell'attentato.
DeLillo cavalca l'onda di questa teoria dando voce agli attentatori, a Oswald, ai reduci del fallimentare assalto alla Baia dei Porci, a ex agenti dell'FBI; una macchina perfetta, costruita per rappresentare tutta la contraddizione dell'America moderna, stretta tra una grandezza invincibile e un interno marcire che partorisce figli rabbiosi, delusi, frustrati. La voce di DeLillo è la voce di tutti i personaggi, veri o inventati, che girano attorno alla data fatidica: intreccia percorsi individuali che per un calcolo preciso, o forse per caso, chissà, si riuniscono tutti a Dallas. Quello di Oswald è un percorso di vita che finisce tutto nel mirino di un fucile, quando tornare indietro non è più possibile, quando qualcun altro, forse, si è preso la briga di aggiustare il tiro di quella pallottola mancata, firmando il destino di un ragazzo al posto suo.
DeLillo non mette la parola fine ad una vicenda che ha ancora immense zone d'ombra ma riesce ad elevarla a paradigma di quella miscela pericolosa formata dalla costante tendenza all'ideale e dalla frustrazione delle nevrosi quotidiane. Rappresenta, con il sacrificio di Oswald, il sacrificio di una nazione che ha sempre avuto e sempre avrà bisogno di un eroe e di un colpevole, di un buono e di un cattivo, come nei vecchi film western di Hollywood. Perché è la minaccia del terrore quella che stritola gli Stati Uniti ed è più facile quando il nemico è fuori, chiaro e definito: da chi difendersi quando il Presidente è ammazzato da uno di noi o forse da tanti di noi che agiscono nell'ombra?
|
|
|