LA MORTE A VENEZIA
                                 di Thomas Mann

     “La morte a Venezia” vide la luce nel 1912, a seguito di un viaggio dello scrittore Thomas Mann tra le bellezze lagunari. Nella sala da pranzo dell’ hotel dove la coppia era alloggiata si presentò un giorno una famiglia polacca, il cui figlio preadolescente colpì all'istante l’immaginazione di Mann. La bellezza efebica del fanciullo lo rapì a tal punto che, come ricorda la moglie dello scrittore, “mio marito lo osservava in continuazione con i suoi compagni sulla spiaggia. Non lo inseguì per tutta Venezia - questo non lo fece - ma il ragazzo lo affascinò, e pensava spesso a lui... Ricordo ancora che mio zio, il consigliere privato Friedberg, un famoso professore di diritto canonico a Lipsia, era indignato: “Che scandalo! E perdipiù un uomo sposato e con famiglia!”
     Il motivo del platonico trasporto del maturo Mann verso quel giovane dio viene ripreso in modo pressoché identico nella trama de “La morte a Venezia; Gustav Aschenbach, anziano scrittore mitteleuropeo, giunge a Venezia per soggiornarvi qualche tempo. Un giorno nella sala da pranzo si presenta una famigliola polacca, le cui ragazze, invero piuttosto scialbe, fanno risaltare ancora di più la bellezza assoluta del fratello Tadzio. Per lo scrittore si tratta di un autentico “coup de foudre”, che lo porterà a seguire gli spostamenti del ragazzo con attenzione morbosa, tributandogli una totale quanto inespressa devozione. Seppur a conoscenza dell’epidemia di colera che sta falciando la popolazione veneta, Aschenbach è talmente soggiogato dalla presenza del ragazzo che decide di rimanere nella laguna, nonostante l’alto rischio di contagio: arriva persino a non avvisare la famiglia del giovane, nel timore di non vederlo mai più. Come il titolo annuncia laconicamente, la morte giungerà per lo scrittore proprio mentre osserva il suo bel Tadzio giocare sulla spiaggia.
     Il racconto di Mann è  incentrato su un rapporto di pederastia platonico e univoco, certo sufficiente a far storcere il naso a molti contemporanei dell’autore. Al di là della questione dell’omosessualità latente di Mann, che è la tematica più diffusamente trattata riguardo a quest’opera, vorrei soffermarmi su un’interpretazione del racconto mutuata dall’ottima prolusione (reperibile su Philagora.net) di Réné Schérer, docente alla Sorbona di Parigi: “La morte a Venezia” come l'eterna battaglia tra Dioniso e Apollo, tra caos e bellezza classica.
     Nell'ultimo capitolo del racconto Mann narra un sogno fatto da Aschenbach, quasi un incubo popolato da un corteo di satiri e menadi che si danno ad un’orgia cannibale e sfrenata nel nome del dio del vino, la “divinità straniera”: nel testo

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