privilegio di accedere ad una forma di libertà condizionata, ma verrebbe, altresì, reintrodotto nel circuito della vita civile senza alcun deterrente, con il rischio di perpetrare la commissione di reati con l’ausilio di fiancheggiatori.
     Personalmente ritengo che si tratti di un tentativo grossolano di arginare l’emorragia di risorse, penalizzando le aspettative dell’opinione pubblica e rafforzando la percezione di insicurezza che questo Esecutivo ha inteso contrastare con slogan pre-elettorali e con la promessa di adottare misure coercitive per ammansire l’elettorato. Retrocedere rispetto a questo intento, aggirando il problema della congestione dei penitenziari e favorendo soluzioni svuota carceri, significherebbe scardinare il principio della certezza della pena e penalizzare il diritto del singolo alla sicurezza. Posto che oltre il 60% dei detenuti, dati alla mano, è rappresentato da cittadini extracomunitari e comunitari dell’Est europeo, basterebbe probabilmente avviare consultazioni con gli Stati interessati per giungere alla sottoscrizione di accordi bilaterali, ispirati al principio della reciprocità, che consentano l’immediato rimpatrio dei medesimi con espiazione della pena nei rispettivi Paesi d’origine. Se nulla si fa per dare attuazione a questo elementare principio, che potrebbe in parte risolvere ed ammortizzare il problema della difficile realtà carceraria, si rischia di scivolare sulla classica buccia di banana, esponendo i Paesi più soggetti ai flussi migratori e a politiche più elastiche di accoglienza, a rischi di implosione che potrebbero condizionare i rapporti bilaterali ed ostacolare politiche di sviluppo.
     Nell’ambito di questi temi ampiamente dibattuti senza successo in sedi istituzionali o più generalmente in contesti più celebrativi, si è anche levata la proposta di revisione del codice penale per agevolare il processo di sfoltimento carcerario. In sostanza, qualora i reati commessi siano classificati come “minori” o non siano tali da destare un particolare allarme sociale, si potrebbe giungere all’adozione di forme alternative che conducano con certezza alla riparazione del danno e a lavori socialmente utili. L’Italia non rappresenta, però, a causa di un pensiero cattolico buonista largamente diffuso in un’ampia fascia della popolazione, un terreno adeguatamente fertile per poter testare questa soluzione, visto che la storia nazionale ci ha insegnato e ci insegna che le leggi esistono, ma la loro applicabilità viene influenzata da categorie mentali dure a morire. Sulla carta l’intento è, quindi, encomiabile e può essere sicuramente ispiratore di grandi dibattiti tra intellettuali, giuristi, politici e mondo civile, ma nella realtà dei fatti non possono certo mancare dubbi e riserve, sostenuti dall’inerzia di coloro che dovrebbero disporre adeguate forme di controllo, di prevenzione e di repressione.

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