LA CERTEZZA DELLA PENA NON ESCLUDE IL GARANTISMO
                                 di Pierluigi Piromalli

     La storia politica e sociale del Belpaese, in particolare quella che ha caratterizzato l’epocale quanto oscuro periodo post tangentopoli, si è distinta per il colpevole lassismo della classe dirigente nazionale che ha lentamente contagiato anche le amministrazioni locali, espandendo i propri virulenti effetti nei meccanismi della magistratura italiana, il cui operato è stato intralciato dai non sempre provvidenziali interventi del legislatore. La rivoluzione copernicana che nel lontano 1992, per mano dei solerti magistrati milanesi coordinati da quel Borrelli eletto ad angelo purificatore ed allo stesso tempo sterminatore, aveva  inaugurato la nuova era della politica nostrana trasformandola in crociata contro l’avversario di turno, ha fatto emergere gli strenui sostenitori del garantismo, i quali, cavalcando il destriero di un massiccio ma “dopato” consenso collettivo, hanno favorito la diffusione di una convinzione iper-liberale, determinando un effetto boomerang, che ha travolto tutti gli apparati dello Stato minando alle radici la credibilità delle istituzioni, garanti della legalità e custodi del rispetto delle regole.
     La società italiana, pervasa da questa fulgida ed acritica tempesta ormonale iper-garantista, accolta con i peana di un festoso quanto inconsapevole elettorato che aveva prontamente rimosso la memoria storica dell’appena defunta triade rappresentata da Craxi, Andreotti e Forlani, ha, nel tempo, cominciato a mostrare i segni di un declino sempre più marcato, culminato con una disarmante impotenza di quegli strumenti posti a salvaguardia dei diritti della collettività. Si è assistito ad una paradossale fase, ancora non esaurita, nella quale la maggior parte delle sentenze emesse dai Tribunali Ordinari di primo grado, transitando dall’approvazione o meno delle Corti d’Appello, venivano definitivamente cassate dalla Suprema Corte, quando non interveniva miracolosamente la prescrizione, vera panacea di tutti i mali, a decretare la fine tombale del processo e la riabilitazione mediatica dell’imputato.
     Poco importa che fossero gli uni o gli altri a celebrare condanne o assoluzioni, fatto sta che all’occhio del cittadino appaiono emblematiche se non paradossali le contraddizioni processuali che scandiscono l’iter tra il primo e l’ultimo grado di giudizio, percorso che subisce rovesciamenti tali da generare nell’opinione pubblica uno scetticismo crescente. Insomma, le decisioni della Cassazione, che periodicamente penetrano nelle case degli italiani suscitando la curiosità che solo i media sanno manipolare costruendo la notizia a sensazione, sembrano

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