FAMIGLIA: DALLA PATRIA POTESTÀ ALLA PARI OPPORTUNITÀ
                                  di Enrico Caruso

     In Senato si sta discutendo la legge che introduce il sistema del doppio cognome, la Commissione Giustizia del Senato ha infatti approvato il relativo disegno di legge. Questo testo, innovativo in tutti i suoi aspetti, prevede che ai nuovi nati venga attribuito il doppio cognome, prima quello del padre poi quello della madre, e tale regola si potrà applicare a tutti, maggiorenni e consenzienti. Dunque, tale legge sancisce a questo punto la perdita del dogmatismo legislativo che comunque innalzava sempre l’autorità paterna, contro ogni pretesa del potere femminile, tranne però nel caso di affido, che nel 90% dei casi tutto si risolve a favore della madre. Partendo da questa notizia, possiamo vedere come in questi ultimi decenni la “patria potestà” ha lasciato il passo alla “pari opportunità”.
     Il patriarcato, per la sua sopravvivenza, ha sempre goduto del sostegno giuridico. Nel Codice Napoleonico del 1804 la supremazia maschile veniva sancita dall’art. 213 che così recitava: “Il marito è in dovere di proteggere la moglie, la moglie di obbedire al marito”. All’interno della famiglia veniva riconosciuta una struttura gerarchica ove il padre manteneva il predomino su moglie e figli. L’art. 214 concedeva alla donna nessun privilegio e la relegava ai confini del potere domestico. Il presente articolo così recitava: “La moglie è obbligata ad abitare col marito, ed a seguirlo ovunque egli crede opportuno di stabilire la sua residenza, il marito è obbligato a riceverla presso di sé ed a somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita, in proporzione delle sue sostanze e del suo stato”. Con il Codice Unitario del 1865 l’autorità paterna ricevette delle limitazioni in quanto essa venne confinata nei limiti della maggiore età (21-25 anni). Il Codice continuò a tutelare la famiglia di stampo patriarcale, proteggendo solo i diritti e le responsabilità della paternità: la potestà maritale rimaneva la stessa e la donna veniva sempre mantenuta ai margini dell’ambiente domestico e sociale.
     In epoca fascista, il “nuovo” Codice Civile del 1939-1942 conservò i principi legislativi precedenti, continuando a tutelare il potere paterno che diventava un “organo di stato”. Il marito diventava un “Duce” in miniatura e la donna aveva nessun diritto, solo doveri a cui attenersi. La moglie era completamente assoggettata al marito e qualsiasi richiesta doveva essere approvata da questo. Con la Costituzione, votata il 22 dicembre del 1947 ed entrata in vigore il 1° Gennaio del 1948, vennero sanciti i diritti della famiglia con gli articoli 29 e 30. L’articolo 29 cominciò a fortificare il senso dell’uguaglianza stabilendo che “la repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul

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