Nel 1135 a Bergamo ci fu un lungo periodo di siccità, che ridusse la popolazione alla carestia e portò la peste. I bergamaschi decisero di chiedere aiuto alla Beata Vergine Maria costruendo un tempio in suo onore, nel cuore della città: il Vescovo Gregorio, prelato dell’epoca, posò nel 1137 la prima pietra di questa chiesa, simbolo di Città Alta. Dagli archivi storici dell’epoca emerge però che esisteva già un'altra chiesa cattolica in Città Alta, datata VIII secolo, costruita proprio nel luogo in cui successivamente venne edificata Santa Maria Maggiore: nel 1950, gli scavi archeologici effettuati nell’angolo sud-est del transetto portarono alla luce i resti di una precedente costruzione di epoca romana. Come puntualizzano gli storici, l’anno di fondazione, anzi, di ricostruzione della Chiesa di Santa Maria Maggiore è il 1137, data riportata anche sull’archivolto del portale meridionale. Poco si conosce del costruttore della Basilica, tal Magistro Fredo, conosciuto all’epoca come uno dei maggiori maestri comacini.
La chiesa venne edificata in due fasi: nella prima fu costruita l’abside centrale e le due absidi a nord-est ed a sud-est del transetto centrale, mentre nella seconda fase furono costruiti i fianchi nord-ovest e sud-ovest, con relative absidiole, e la facciata della chiesa stessa, che in realtà non venne mai eseguita. Furono realizzati quattro ingressi laterali per accedere alla chiesa, particolare alquanto inusuale ma con una sua logicità, in quanto essi mettono in comunicazione con gli spazi cittadini più frequentati quali la Piazza del Duomo a nord e piazza Rosate e la via San Grata a sud, distinguendo in questo modo l’asse puramente laico, nord-sud, da quello del culto, est-ovest.
Accanto alla facciata occidentale possiamo vedere un’aula squadrata dalle pareti affrescate, realizzata probabilmente attorno al 1270-1280 per sostenere la facciata allora pericolante a causa dei cedimenti del terreno dovuti al terremoto del 1222. Su questa pseudo-facciata possiamo ammirare una bifora affrescata con le figure del Patrono della città a cavallo, Sant’Alessandro, e dei due primi vescovi di Bergamo, i SS. Narno e Viatore. Sul fianco nord-ovest della chiesa, invece, dove ora si trova la Cappella Colleoni, si trovava un’absidiola simmetrica a quella ancora visibile sul lato sud-ovest e la sua esistenza fu confermata dagli scavi condotti nel 1958 nella Cappella Colleoni, durante la quale vennero alla luce i resti. Guardando il transetto, costruito in arenaria con tonalità che variano dall’ocra al grigio, possiamo notare alcune misure bergamasche usate all’epoca dai mercanti di stoffe che occupavano, con banchi di ambulanti, piazza Duomo. La struttura dell’absidiola nord-est è ripresa nell’abside centrale: infatti, essa è formata da cinque monofore strombate divise da semicolonne con capitello ornato da foglie d’acanto, animali e figure animali. In posizione centrale possiamo notare un tondo ad altorilievo che rappresenta la testa di un uomo barbuto, probabilmente la rappresentazione di uno degli scultori della Basilica, tale Cristoforus, così come possiamo leggere sull’incisione posta sul tondo stesso. Sul lato sud-est della chiesa, invece, troviamo un’ulteriore abside dimezzata però dalla costruzione del campanile: un capitello in particolare, si distingue dagli altri in quanto raffigurante a lato il “Sacrificio di Isacco”, con l’Angelo che chiede ad Abramo di sacrificare il suo unico figliolo mentre a lato un ariete attende già il suo destino.
Per quanto riguarda il portale, la strombatura dello stesso, risalente al XIII secolo, è caratterizzata da colonne attorcigliate e decorate con fregi di foglie e animali, intervallate da altre colonnine lisce. I capitelli posti a coronamento della strombatura ci raccontano episodi della vita della Beata Vergine Maria: la Visitazione, l’Apparizione dell’Angelo a Giuseppe e la Presentazione di Gesù al Tempio. La cupola di questa chiesa dalla pianta irregolare, invece, si innalza all’incrocio del transetto con la navata centrale. Essa poggia su tre gallerie digradanti: nella prima possiamo ammirare una serie di aperture con l’arco a tutto sesto mentre la seconda e la terza presentano bifore alternate a piastrini e colonnine. La costruzione della cupola avvenne a cavallo dei secoli XII ed XIII, quindi nella fase intermedia tra le cupole romaniche e le torri gotico-cistercensi.
Per cercare di capire come fosse stata costruita originariamente Santa Maria Maggiore dobbiamo osservare le gallerie interne, murate poi nel XVII secolo, che si affacciano sulla navata principale e sul presbiterio. Esse hanno volte a crociera e si aprono sul transetto attraverso bifore e sulla navata principale attraverso trifore con arco mediano a sesto acuto. I capitelli sono decorati da foglie d’acanto alternate a motivi sempre floreali ma più semplici, quali rosette, riccioli e chiocciole. Probabilmente questo era il luogo destinato alle donne che da qui potevano seguire le funzioni religiose, mentre gli uomini prendevano posto nella navata principale della chiesa, così come era in uso nella chiese del Medio Evo, ma nel caso specifico di questa Basilica queste particolari gallerie servivano anche a “raccogliere” la luce dalle vetrate e convogliarle verso la navata centrale.
Osserviamo ora più da vicini i portoni della Basilica, esaminando i particolari che attirano subito l’occhio del visitatore. Essi furono costruiti da Giovanni da Campione rispettivamente nel 1351 il portale con il leoni rossi rivolto a settentrione, nel 1360 il portale dei leoni bianchi rivolto verso meridione e nel 1367 il portale più piccolo a nord-est affacciato verso il Duomo. A differenza di quello rivolto a nord, che ha anche una scalinata d’accesso, il portale sud è formato unicamente da un protiro poggiante su leoni in marmo bianco e i pilastri addossati al muro gravano su telamoni inginocchiati; tutto attorno vi sono una serie di incisioni che raffigurano sul lato sinistro cinque Santi, nella parte frontale Cristo con i dodici Apostoli e nel lato destro i Quattro Santi Coronati e i patroni degli scultori e dei tagliapietre, raffigurati in vari atteggiamenti lavorativi, così come la tradizione dell’epoca vuole. Il portale più piccolo, invece, è opera congiunta di Giovanni da Campione e del figlio Nicolino e fu eseguito nel 1367 in arenaria. Segnaliamo un dettaglio presente sul portale di nord-est: qui vi è raffigurato il Cristo Crocifisso e al di sotto della croce è stato inciso un teschio, simboleggiante il luogo dove avvenne la crocifissione di Gesù, il Golgota, che nella lingua ebraica significa “luogo del cranio”. Esso rappresenta anche il luogo dove fu sepolto Adamo: la tradizione vuole, infatti, che il sacrificio di Cristo sia avvenuto nel luogo dove fu sepolto l’Uomo della Caduta per mondare il peccato originale tramite il sangue di Dio fatto carne.
Ammirando questa chiesa notiamo che essa presenta una complessa iconografia medievale, dove si intrecciano significati ambivalenti creando l’impressione di non poter mai comprendere appieno il significato che lo scultore ha voluto dare alla sua opera. Il rischio che corre l’osservatore è quello di vedere nelle rappresentazioni simboliche più di quello che l’autore avrebbe voluto realmente mettervi, oppure come scrisse Oliver Beigbeder nel suo “Lessico dei simboli medievali”, l’uomo ha la possibilità di intuire che “mille interpretazioni diverse non arrivano ad esaurire tutte le varietà di accenti che una sinfonia può offrire, e tuttavia non c’è dubbio che il compositore, lui, non ne avrebbe ammessa che una e una soltanto”. Esaminiamo i più caratteristici insieme.
Simbolo forte della Basilica è il leone stiloforo. Esso, ubicato all’ingresso delle chiese romaniche e gotiche come guardiano del luogo sacro, ha il compito di impedire al profano di varcare la soglia del tempio. Viene considerato come l’animale che divora, ma che trasmette, allo stesso tempo, parte della sua forza all’anima della vittima, cosicché essa, attraverso l’esperienza della morte, possa raggiungere la completezza spirituale: i maestri costruttori, ponendo questa figura all’ingresso della chiesa, volevano simboleggiare il limite invalicabile fra il sacro e il profano, il bene e il male, la morte e la resurrezione alla vita eterna. Il leone è connesso anche a un simbolismo solare: come il sole che ogni sera muore all’orizzonte per poi rinascere più forte il mattino seguente, al termine di un misterioso tragitto oscuro notturno, anch’egli è in grado di trascinare gli uomini sotto terra e “farsi conduttore di anime verso l’aldilà, fino allo sbocco di un’altra vita” – G. de Chamepaux – S.Sterkx – I simboli del Medio Evo. Anche nelle tombe cristiane la presenza del leone alludeva alla resurrezione dell’anima: esso evocava la figura del Cristo che, divorando gli uomini, li custodiva simbolicamente nella tenebra della morte corporale sino al giorno del Giudizio, giorno nel quale avrebbe potuto liberare le loro anime per condurle alla vita eterna. Secondo alcuni padri della Chiesa, come Santo Agostino o Santo Ilario, il leone dormiva con gli occhi aperti e i suoi cuccioli venivano al mondo già con gli occhi aperti: proprio grazie a questa caratteristica, questo animale simboleggia anche la vigilanza e la giustizia. Si noti che in molte chiese romaniche essi fungevano da garanti della giustizia ecclesiastica e il priore che gestiva il luogo sacro presiedeva la Chiesa “inter leones”. Altro particolare curioso: il fatto che i leoni siano stati rappresentati in coppia simboleggia l’ambivalenza del Cristo “benigno con i buoni, implacabile con i malvagi”.
Nella Basilica di Santa Maria Maggiore, i leoni bianchi del protiro a Sud, costruiti in marmo di Candoglia, guardano verso lo splendore della luce solare, mentre i leoni rossi del protiro a nord, in marmo di Verona, sono rivolti verso il buio della notte: l’ennesima ambivalenza fra la vita e la morte. Ancora, i primi sono stati scolpiti con una criniera simile a lingue di fuoco, come i raggi di un sole accecante che affrontano ad occhi spalancati, e mostrano le fauci a coloro che possono tentare di fare del male agli uomini e ai cuccioli posti sotto la loro protezione: tutto ciò simboleggia la protezione dalle forze del male che il cristiano dalla fede pura può trovare all’interno della basilica. I leoni rossi, invece, presentano attributi diversi: davanti al leone di sinistra vi è raffigurato un uomo nell’atto di domare la fiera mentre i suoi cuccioli sono accovacciati sotto di lui e lo aiutano a sorreggere la colonna e un cagnolino si solleva sulle zampe posteriori per tentare di morderlo. Il leone di destra è accompagnato da due giovani che, come i leoncini, lo aiutano a sostenere parte del peso del protiro.
Passiamo ora ad esaminare la scalinata d’accesso, anch’essa densa di significati simbolici. Da settentrione il fedele, per accedere alla chiesa, deve percorrere dieci gradini prima di entrare nel luogo sacro, una sorta di purificazione simbolica attraverso la fatica della scalinata per poter oltrepassare la soglia del divino. Essi sono in sequenza bianchi e neri e sono divisi in due scalinate, la prima di sette gradini e la seconda di tre. La prima racchiude in sé tutti i significati connessi al numero sette: Dio creò l’intero universo nei sette giorni raccontati nella Genesi, sette sono le arti liberali utili ai sapienti per meglio apprezzare la grandezza di Dio, sette sono i pianeti sotto l’influsso divino che nell’antichità avevano influenze sulla Terra (Saturno, Giove, Marte, Sole, Mercurio, Venere, Luna) e sempre sette sono i metalli ad essi associati (piombo, stagno, ferro, oro, mercurio, rame, argento) già presenti in natura; nel Medio Evo, infine, il “7” aveva un significato simbolico legato alla fine di un ciclo e nel senso temporale rimandava alla fine della vita terrena. La seconda salita, invece, è formata da tre gradini: il numero “3”, emblema della perfezione della Trinità, consente l’accesso al luogo sacro al fedele segnando il confine fra il luogo esterno (il protiro) e il mondo interno (il transetto). È curioso osservare come i maestri costruttori abbiamo voluto usare tanti simbolismi numerici all’interno di questa Basilica per rafforzare il messaggio religioso ad essa collegato: si noti, infine, che secondo indicazioni bibliche Dio viene descritto come l’essere che possiede la scienza dei numeri e nel Medio Evo fu raffigurato spesso nell’atto di prendere delle misure con un compasso nella mano destra. In questa basilica bergamasca, il fedele, dopo avere percorso la prima scalinata (i sette passi dell’esperienza terrena) sale ulteriormente attraverso i tre gradini del Cielo per entrare nella Chiesa di Dio.
Arrivati al portale settentrionale, nella sua strombatura possiamo notare quattro militi che proteggono la porta brandendo le armi, mentre dodici apostoli ammoniscono colui che entra mostrando la parola di Dio scritta sui libri aperti e nel segreto di quelli chiusi. Le scene di caccia tutte attorno dovrebbero stimolare nel catecumeno la lotta interiore contro il maligno, contro gli istinti animali e le pulsioni carnali per riuscire ad oltrepassare quella soglia che porta all’interno della Basilica, luogo deputato al sacramento del battesimo: tutte le rappresentazioni vegetali raffigurate intorno simboleggiano la potenza feconda dell’Albero della Vita, l’Albero-Cristo in cui scorre la linfa dello Spirito Santo utilizzato nel battesimo. La porta posta all’entrata della chiesa è il simbolo più importante dell’ingresso nel regno dei cieli per mezzo di Cristo: “Io sono la porta: se qualcuno è entrato attraverso me sarà salvo” (Giovanni 10,9).

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