questo il loro lavoro. Imperano le immagini dei politici e dei personaggi del gossip televisivo, e a questa logica obbediscono anche quei giornali che apparentemente dichiarano di non fare pettegolezzo. In realtà, semplicemente, lo mascherano. Ma fanno anche loro parte del coro. Occorre andare sulle riviste straniere per trovare ancora del giornalismo fotografico di qualità. Alla Magnum ci sono quattro fotografi italiani, e lavorano quasi esclusivamente per l’estero. Quello che deve fare riflettere è che questo, almeno a mio giudizio, non dipende da un’assenza di interesse dei lettori. Sono convinto che ci sarebbe spazio per un settimanale in grado di informare con immagini di qualità e servizi analoghi a quelli che si trovano sulla stampa tedesca, francese, inglese. La scelta è degli editori. Non vogliono investire. Non capiscono che mentre la televisione fornisce con le sue immagini la notizia in tempo reale, la fotografia è in grado di dare un approfondimento essenziale, preziosissimo, unico. Anche la fotografia industriale è mutata drammaticamente. Ho lavorato quindici anni alla Olivetti con Giorgio Soavi. Un tempo si raccontavano le aziende, le linee di montaggio, la vita delle persone che ci lavoravano, gli asili dove andavano i figli. Oggi non si fotografa nulla che non sia il prodotto finito. Clic, clic, e meglio se a farlo è un impiegato con la sua digitalina. Cosa vuole che dica a un giovane che con un mondo così mi chiede consigli su come affrontare questa professione? Apri una farmacia – gli dico – apri una drogheria. E con quello che guadagni coltiva il tuo hobby».
     E il pubblico? «Il pubblico», dice ancora Berengo Gardin, «affolla le mostre, che sono sempre più numerose, con interesse crescente. E inizia anche in Italia a dare vita a un mercato della fotografia così come da decenni esiste in altri Paesi. Non si deve tuttavia fare confusione. Esistono mostre di artisti che usano la fotografia come strumento espressivo e interpretativo, e questi eventi sono da ricondurre puramente al mondo dell’arte. Ed esistono fotografi che presentano il loro lavoro, la loro ricerca per immagini, con risultati che possono essere esteticamente apprezzabili e in certo modo “artistici”, ma che discendono – e non presiedono – al loro lavoro. Io appartengo a questa seconda categoria. Per questo non voglio che le immagini che vendo alle mie mostre siano numerate. Chi acquista una mia stampa porta a casa una bella immagine, un documento, una testimonianza del nostro tempo: qualcosa che gli piace, certo, ma “solo” e “semplicemente” questo. Non sono un artista, o per lo meno il mio lavoro non è produrre arte: è fare fotografie, e con loro raccontare il mondo, la vita, gli uomini».
     Antologia e profilo dell'artista.pdf
                                                                      cristiano.calori@fastwebnet.it

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