LA CRISI ECONOMICA E I CAMBIAMENTI EPOCALI
                                  di Pierluigi Piromalli

     La recessione economica mondiale, annunciata dalle lontane Americhe, dapprima tiepidamente e poi in un crescendo di rossiniana memoria, fin dalla torbida crisi dei mutui subprime, ha progressivamente sparso il proprio effetto virulento sulle economie nazionali, sancendo ufficialmente il periodo più nero dopo il famigerato 1929, momento storico rimasto impresso nell’immaginario collettivo come il periodo della “grande depressione”. Non bisogna certo fregiarsi del titolo di economisti per capire che i corsi e ricorsi storici ripropongono, ciclicamente, per loro natura, le medesime problematiche che ovviamente vanno contestualizzate nel periodo in cui esse si verificano. Come da più parti osservato, forse per placare le crescenti preoccupazioni e nevrosi dell’opinione pubblica mondiale, l’attuale crisi economico-finanziaria può e potrà essere gestita con strumenti finanziari adeguati che consentiranno di contenere gli effetti rovinosi di una pandemia globale che ha generato, fino ad oggi, perdite consistenti di posti di lavoro, con ricadute deleterie sulla coesione sociale, presupposto per la governabilità. L’informazione, come da principio ormai consolidato, oscilla tra atteggiamenti volti ad un cauto ottimismo, inneggiando a “ripresine” nei vari settori industriali dal sapore più consolatorio che effettivo, a quelli volti a ipotizzare scenari catastrofici che attentano alla pace sociale minando le fondamenta della democrazia.
     L’allegra gestione delle regole economiche globali, dalle umorali manipolazioni dei prezzi delle risorse energetiche e dai finanziamenti a pioggia erogati senza adeguate garanzie all’incentivazione del credito al consumo, che ha generato illusioni collettive, ha innescato un perverso meccanismo che ha travolto quel sistema capitalistico, costantemente osannato come simulacro di un benessere virtuale, basato sul consumo, che da tempo era stato messo in discussione, ma che sorde classi politiche avevano colpevolmente ignorato sperando che la bengodi potesse continuare ad oltranza.
     Al recente incontro londinese del G20, teatro di scontri e di assalti alle icone della globalizzazione, si sono, però, abbattute le barriere di quelli che fino ad oggi erano ritenuti i santuari del benessere di una circoscritta élite mondiale, ovvero i paradisi fiscali. Per quanto possa, per ovvi motivi, apparire difficile se non utopico ritenere che i paradisi fiscali d’incanto possano diventare un lontano ricordo, la novità risiede nella ormai imprescindibile necessità di riscrivere

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