MA QUELLA CITTÀ ALTA NON C'È PIÙ…
di Giusy Cretto
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Quando guardo il profilo di Città Alta non posso fare a meno di pensare, con rammarico e sofferenza, che quello che vedo non è altro che un Fossile. Questo concetto lo può ben capire solo chi come me vi è nato e ha vissuto nella Città Alta, quando era ancora un borgo vivo. Non sono vecchissima ma la mia infanzia probabilmente ha segnato il confine temporale tra il Vecchio Borgo e questo Attuale, ormai senza più una sua vitalità, ridotto a puro souvenir per la gioia dei turisti curiosi e quella degli esercenti con clienti di passaggio.
Allora era tutto diverso... le case forse non in ordine, tetre, alcune a volte umide, con scale impossibili da salire, ma abitate dai “veri bergamaschi” che lì vivevano da generazioni. Le vie e le piazze, ora ridotte a parcheggi, erano allora sgombre da macchine e pullulavano nelle ore pomeridiane di frotte di bambini chiassosi, che correvano dietro ad un pallone o saltavano tra righe di gesso sul selciato. In altre occasioni divisi in bande si rincorrevano e si nascondevano tra le vie tortuose, strette e secondarie della città. Vie che per noi bambini, ignari della storia che rappresentavano, avevano un che di misterioso e inquietante quando cercando un nascondiglio per gioco ci trovavamo di fronte a statue gigantesche, a nicchie nascoste o a enormi portoni di legno cigolanti e pieni di spuntoni. Ingenui i nostri giochi, e semplici, ma ci riempivano di gioia. Come tutti i bambini amavano provare un brivido di paura addentrandoci in abitazioni abbandonate che nella nostra fantasia pullulavano di streghe e fantasmi: ma era la fatidica prova di coraggio da dimostrare ai compagni. A volte sapendo di rischiare rimproveri e qualche castigo, ci divertivamo a suonare i campanelli a casaccio e nasconderci per vedere chi si affacciava alla finestra per morire dalle risate quando questa era una vecchiaccia acida che odiava visibilmente i bambini… il dispiacere più grosso era quando giocando a pallone questo finiva malauguratamente sopra qualche balcone e lì restava: chi lo avrebbe spiegato poi a casa?
La mattina si andava a scuola a piedi e le strade si riempivano via via di bambini con i loro grembiuli, bianchi le femmine e neri i maschietti, con festosi e coloratissimi nastri legati a fiocco: già da quel colpo d'occhio si capiva e si poteva intuire chi era l'alunno diligente, tutto precisino e stirato, e quello più scavezzacollo, scapigliato e stropicciato con il nastro a penzoloni e la cartella (allora non c'erano gli zainetti…) magari ereditata dal fratello, che volava di qua e di là. La scuola era a pochi metri da casa e una fermata era d'obbligo dal
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