consapevolezza ancora più grande della dicotomia tra la sua vita e le sue aspirazioni. Durante l'infanzia del figlio, infatti, la protagonista arriva ad adattarsi alla vita da reclusa condotta nel paese di suo marito; la sua “povera vita, meschina e buia” procede però ineluttabilmente verso una scelta che la porterà ad abbandonare il figlio e la casa coniugale per trovare rifugio ed autonomia dalla sorella. È qui che si conclude il libro, lasciando il lettore a domandarsi se la scrittrice rivedrà mai il bambino (nella realtà, ciò avvenne dopo circa trent'anni, anche se la Aleramo non smise mai di cercare di ottenerne la custodia).
     Al di là dello stile in sé, molto ottocentesco ed ampolloso, il libro stupisce per la profondità di autoanalisi della scrittrice; la modalità narrativa è tale per cui i drammi interiori della donna costretta a stare con un uomo odiato sono elevati a livello universale, comprendendo così la condizione della donna nella sua globalità. Già il fatto stesso che una donna osasse analizzare in modo così lucido la propria situazione, ammettendo che non solo non desiderava, ma disprezzava il porto sicuro del matrimonio, era motivo di scandalo; nemmeno le più famose scrittrici dell'epoca, come si è detto falsamente emancipate, avevano osato tanto. Probabilmente, prima della Aleramo, altre donne avevano provato le medesime sensazioni e avvertito il dilaniamento tra la propria volontà di libertà, intellettuale e fisica, e la condizione imposta di mogli e madri; ma la scrittrice fu la prima, almeno in Italia, a dichiararlo pubblicamente e addirittura a fare delle scelte radicali per poterla ottenere.
     A parer mio, l'elemento estremamente moderno di “Una donna” sta proprio nelle pagine finali del romanzo, quelle in cui la scrittrice, dopo aver passato una vita di battaglie interiori per la divergenza tra i desideri e la vita quotidiana, si decide a lasciare il figlio. È un prezzo alto quello che la Aleramo pagò per vedere realizzati i suoi sogni di indipendenza ed è anche il modo in cui il marito, subodorata la decisione della moglie, era riuscito a tenerla legata, ricattandola emotivamente: il bambino, l'essere più amato dalla scrittrice, era l'unico freno che la tenesse ancorata alla triste esistenza nella casa coniugale. Sapendolo, il marito le concesse la separazione a condizione che il bambino rimanesse con lui, certo che la moglie non avrebbe mai avuto cuore di lasciare il piccolo; ma con una decisione straziante e definitiva, la scrittrice scelse se stessa e la sua nuova emancipazione, ben sapendo di fare del male al figlio, ma sapendo anche che si sarebbe autodistrutta continuando a marcire in quell'atmosfera opprimente.

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