“NELLA TERRA NEGRA, NÉ IL SOL PIÙ LO RALLEGRA”
di Gaudenzio Rovaris
|
|
In questi giorni in cui la natura si sta svegliando sono portato a riflettere su chi mi ha lasciato e chi sta per lasciarmi, toccandomi da vicino (ricordo “Pianto antico” del Carducci: la morte del figlio che ora è “nella terra negra, né il sol più lo rallegra” ed “il rosso melograno” a cui il bimbo tendeva la “pargoletta mano”): mentre tutto intorno brillano i colori l’idea di chi non si sveglierà più vicino a noi mi assale e mi induce a pensare alla bellezza della vita, che con tutti i suoi problemi è senz’altro più sicura e certa di ciò che ci attende dopo.
Francesca da Polenta nel V canto dell’Inferno dantesco rivolta a Dante, che le chiedeva “Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,/ a che e come concedette amore/ che conosceste i dubbiosi disiri?”, risponde: “…Nessun maggior dolore/ che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore (Virgilio)”. Siamo di fronte a dei dannati, anche se la compassione che l’Alighieri prova per loro è molto profonda (colpito dalla loro pena, anime trasportate dalla bufera infernale che mai non ha tregua, come la passione che accompagna i momenti della passione amorosa, “… caddi come corpo morto cade”). La speranza che mi accompagna non è affidata alla misericordia del sommo poeta, ma a quella divina, ad una volontà che vorrebbe tutti beati. Per chi crede la vita continua anche dopo la morte e forse come la primavera con un colore più intenso e con una gioia maggiore; tuttavia la perdita di chi ci è stato vicino e /o ci ha amati viene considerata enorme e difficile da superare.
Per questo, credo, ci attacchiamo alla vita e fuggiamo l’idea della morte; soprattutto i giovani la sfidano senza pensare che lei possa vincere e quando vengono da lei sfiorati, cercano di mandare tutto nel dimenticatoio.
Assistere alla cerimonia funebre di un giovane è significativo: i presenti, molti amici, si lasciano andare in pianti, lacrime, portano fiori…; ma appena finito il funerale cercano di tornare alla vita di sempre e difficilmente riescono a far tesoro dell’esperienza vissuta quando un amico ha perso la vita per vari motivi: eccesso di velocità, imprudenza, abuso di alcool, droga, stordimento da musica assordante in discoteca fino a notte fonda…, raramente per una malattia.
Quante volte durante la mia esperienza di docente ormai “vecchio” ho dovuto far riflettere i miei allievi su queste problematiche, quante volte far capire che quella signora vestita di nero con una falce in mano non guarda all’età, che il centauro classico è la figura mitologica dell’uomo cavallo che ha ereditato dalla
|
|
|