Nasce a Bergamo il 9 giugno 1976. Figlio d’arte (il padre Gino, chitarrista negli anni ’60 e ’70, è stato leader del gruppo beat “I Monelli” al fianco del fratello Bruno e di Roby Facchinetti), dal 1983 al 1990 ha studiato pianoforte sotto la guida del Maestro Felice Bergamelli. Nel 1996 l'incontro con Giorgio Secco gli apre le porte del circuito live milanese: ha inizio così la sua carriera di musicista professionista.
È del 1999 il suo ingresso nella band degli 883: tour invernale ed uno estivo, due tour europei a supporto dello “Stile Libero Tour” di Eros Ramazzotti. Dopo una breve parentesi live ed in tv con Paola e Chiara, nel 2003 e 2004 è in tour con Syria e partecipa a diverse trasmissioni televisive e due edizioni del “Festivalbar”.
Il 2005 si apre con la partecipazione a “Buona Domenica” al fianco di Laura Pausini per la presentazione del singolo “Vivimi”. Fabrizio è poi a “Top of the Pops” e “Cd Live” contemporaneamente con Syria e Paolo Meneguzzi, con quest'ultimo è in seguito impegnato nel tour estivo “Favola Tour” che si conclude a novembre. Nel frattempo, registra l’album d’esordio di Riccardo Maffoni “Storie di chi vince a metà” e quello di Jasmine “Salutami Jasmine”, prodotto da Renato Zero, che duetta con lei nel brano “Nell’angolo”.
Nel gennaio 2006 è di nuovo con Syria, ospite a “Quelli che il calcio”. Successivamente è in studio per il nuovo disco di Luca Dirisio; sue le chitarre del brano che dà il titolo all’album “La vita è strana”, con il quale va in tour per tutto il 2006 ed appare nelle trasmissioni “Cd Live” e “Serata con…”. A luglio dello stesso anno partecipa nuovamente alla trasmissione “Serata con…”, questa volta al fianco di Francesco Facchinetti, mentre a settembre è sul palco con Syria e Gianni Morandi, per il concerto di apertura della maratona di Bologna.
Il 1° maggio 2007 partecipa con Loredana Bertè al tradizionale Concerto per la Festa del Lavoro in Piazza San Giovanni a Roma: un nuovo tour, questa volta al fianco dell’imprevedibile rockstar italiana, lo impegna fino alla fine dell’estate. Nell’estate 2008 invece è nuovamente in tour al fianco di Luca Dirisio.
Ad aprile 2009 viene presentato al Musikmesse di Francoforte il primo frutto della collaborazione con Bacchus, la "Fabrizio Frigeni Signature by Bacchus Guitars", un modello di chitarra esclusivo realizzato in Giappone artigianalmente e prodotto in edizione limitata. Il mese successivo il progetto "Past : Part 2" debutta in anteprima al Teatro Donizetti di Bergamo, in occasione dell'evento "Play For Children", un evento che ha visto Fabrizio coinvolto nella doppia veste di musicista e direttore artistico.
Partiamo dai tuoi esordi, come nasce l'amore tra Fabrizio Frigeni e la musica?
“Devo tornare indietro parecchi anni, anche perché penso sia impossibile per qualsiasi individuo ricordare il momento in cui la musica ha avuto un impatto su se stessi. Spesso ci si lega al ricordo di un episodio, ma forse quello è il primo momento in cui ci siamo resi conto che la musica ci interessava, per capire invece come la musica ci ha colpiti la prima volta bisognerebbe arrivare a quello stato primordiale di cui non portiamo coscienza. Mia mamma ricorda che quando era in attesa di me ascoltava determinate musiche, ad esempio di Fabrizio De Andrè, motivo per il quale poi sono stato chiamato Fabrizio, e capiva che avevo una particolare attitudine all'ascolto, per quanto potesse capire dall'esterno cosa succedeva all'interno di lei. Si dice che quando ero piccolo le filastrocche o certe canzoni come Gianna (Rino Gaetano n.d.r.) le cantassi a memoria. Mio padre dice che mettendomi degli strumenti davanti io li percuotevo producendo delle note e quando mi accorgevo che le note unite fra di loro producevano una intonazione errata io immediatamente mi fermavo ed alzavo la mano, quasi come se mi fossi scottato. Questo è il momento in cui lui ha detto: ‘questo riesce a sentire la musica!’ Prendendo per buono il suo ricordo penso sia il racconto più emblematico, anche se avevo solo 4 o 5 anni, poiché in quel momento è scaturito qualcosa e se poi dall'età di 6 anni ho iniziato a suonare degli strumenti in casa e a 7 anni a frequentare un corso di pianoforte fu molto probabilmente per questo, cioè per il fatto che mio padre, notando il mio approccio alla musica, capendo che avevo orecchio, andò da un negoziante a comprarmi una tastierina. Penso che questo possa essere considerato il mio primo approccio.”
“L'amore per la musica non l'ho avvertito da subito, perché onestamente parlare di amore quando si è così piccoli è una cosa un po' strana. Credo di averlo capito fortemente quando frequentavo la quarta o la quinta elementare; in un tema su cosa farai da grande io risposi: il musicista! Inoltre, sempre a scuola, io disegnavo con la matita una tastiera sul banco e durante le lezioni (ero un po' distratto…) mi esercitavo a simulare i movimenti della mano. Da lì è nato il mio approccio vero alla musica, alla voglia di viverla 24 ore su 24, mi svegliavo e mentre mi preparavano la colazione suonavo, poi andavo a scuola, tornavo, pranzavo, suonavo, andavo a lezione, facevo i compiti, e ancora suonavo. Alla sera, quando rientrava mio padre, prendeva la chitarra e ci mettevamo a duettare. Ricordo che non era assolutamente una fatica, quindi posso dire che il anni delle elementari e quindi nell'arco di 5 anni arrivare proprio ad essere innamorato della musica.”
Quando Fabrizio Frigeni è diventato un Musicista con la M maiuscola?
“A questa domanda dovrei rispondere: MAI! Forse penso a quando sulla carta d'identità mi hanno scritto ‘professione musicista’ o a quando ho iniziato a pagare le tasse per aver iniziato a svolgere questa professione. Dentro di me il momento in cui ho preso coscienza del fatto che questa era la mia professione è stato quando ho capito di aver conquistato la stima degli addetti ai lavori. Cioè quando mi sono reso conto che dopo aver suonato in certi locali, nelle rassegne degli stessi, sugli articoli dei giornali, nelle pacche sulla spalla degli addetti ai lavori, rimaneva un buon ricordo e soprattutto il riconoscimento del buon lavoro che avevo fatto. Quindi i primi ingaggi a Milano e le prime ‘uscite’ da Bergamo all'età di 16/17 anni. Non penso che il musicista con la M maiuscola sia il ritratto di ‘quello che ce l'ha fatta’, un campione è sempre un campione, non è che perché ha vinto il mondiale è diventato più bravo, però, se ha vinto il mondiale trova il suo nome nei titoli. Ci sono nomi che noi non vediamo mai nei titoli, ma che sono comunque grandissimi calciatori, grandissimi professionisti, così come ci sono grandissimi musicisti. Il vero riconoscimento, penso, sia comunque non quello che viene dal pubblico, ma quello che viene dagli addetti ai lavori. Io mi sono sentito un professionista quando ho letto di me in certi articoli, in certe recensioni fuori provincia, pur non essendo ancora entrato in un giro più importante, però si parlava di me come qualcosa di diverso dalla norma e forse non si trattava neanche di un talento speciale, come magari loro volevano sottolineare, per me si trattava in quel momento di dire OK, non sono il ragazzino venuto nel locale a passare il tempo perché fa questo, ma ero la persona di cui dicevano: ‘caspita! Hai sentito quello lì come suona?’ Forse mi sono sentito musicista con la M maiuscola quando mi sono reso conto che la mia arte portava profitto a qualcuno.”
Raccontaci della tua esperienza sul palco al fianco dei “grandi” della musica italiana.
“Il primo ‘ingaggio’ importante è stato sicuramente quello con gli 883; fino a quel momento avevo suonato con musicisti emergenti, ero stato da Red Ronnie ed ero già stato notato sia a Roxy Bar sia ad Help, ho partecipato sia con Madreblu sia con il cantante Erz, avevo fatto anche un Sanremorock con Marina Barone, moglie del discografico della Duckrecord, ed abbiamo fatto l'apertura a gruppi famosi quali i Simple Minds, i Deep Purple, a Tony Hadley (ex Spandau Ballet), sono state tutte esperienze importanti e durante il programma di Red Ronnie ero stato notato anche dal pubblico a casa. Singolare l'episodio in cui, durante una esibizione, arrivò una chat da uno spettatore che chiedeva di poter vedere la strumentazione del chitarrista e ricordo ancora come Red Ronnie, partito a leggere il messaggio convinto fosse una domanda rivolta al cantante, si fermò e rilesse: ‘vorrei vedere la strumentazione del chitarrista…’ sul palco con noi c'era Paolo Belli, ospite della puntata, e allora Red Ronnie salì sul palco, passò il microfono a Paolo che dimostrò una certa conoscenza della tecnologia applicata al ‘chitarrismo’. Qui mi resi appunto conto di essere riuscito ad attirare l'attenzione sia del pubblico quanto, soprattutto, degli addetti ai lavori. Questa attenzione è sfociata appunto nell'ingaggio da parte degli 883, per prendere parte al loro Tour, in un momento molto importate perché si trovavano all'apice del successo discografico, sia per il gruppo sia per Max Pezzali. È stato l'inizio di quella fase che l'ha poi portato alla carriera da solista. Ho avuto quindi l'opportunità di esibirmi in posti che mi hanno dato una grande emozione, sicuramente uno di questi è il Forum di Assago, dove mi sono trovato davanti migliaia di persone e mi sono reso conto che tutte quelle persone avevano pagato un biglietto ed erano lì proprio per assistere a quello spettacolo e su quel palcoscenico ci sei tu, sulla stessa scena in cui avevi visto suonare i tuoi idoli. Anche perché, proprio in quegli anni, avevo vissuto da spettatore il Forum per assistere ai concerti dei migliori chitarristi e dei principali gruppi della scena rock mondiale. Mi sono così potuto rendere conto di quanto sia importante il ‘salotto’ di Milano per il mondo della musica, perché esibirsi in quel contesto significa anche incontrare tutte le persone che contano, fai un concerto e incontri Jovanotti, fai un concerto e c'è Pino Daniele in platea, fai un concerto e alla fine arriva Biagio (Antonacci n.d.r.) e ti dà una pacca sulla spalla, magari non sanno chi sei, ma sanno cosa rappresenti e quindi significa vivere costantemente delle emozioni. Alla fine sei più emozionato da queste presenze che non dalle migliaia di persone del pubblico.”
“Un ricordo bellissimo del Tour con gli 883 è legato alle date che abbiamo fatto in Austria e Germania, perché sono due Paesi che respirano profondamente la cultura della musica classica e quindi hai il senso, tu, da musicista, che stai ripercorrendo le orme di quei grandi nomi che fanno parte dell'immaginario collettivo quando pensiamo a un violino, a un pianoforte, a una chitarra, a una chiave di violino o comunque a uno spartito. Chi non conosce Bach? Chi non conosce Mozart? E quando ci si trova nel posto dove hanno fatto i loro concerti avverti comunque della magia.”
La chitarra… che cosa significa per te questo strumento?
“La chitarra, innanzitutto, per me è un oggetto, smitizziamo tutto questo voler dire ‘c'è un’anima…’, è un oggetto, un oggetto bello. Per me è un bicchiere, un bicchiere vuoto che io posso riempire con dell'acqua, del buon vino, del cattivo vino, dello champagne, sta a me. Lo strumento non deve mai prevalere, non ho un contatto con lo strumento, la mia chitarra non dorme con me, io non ho chitarre nella mia stanza da letto, perché è quasi come se io volessi ricordarmi di voler tenere distante l'oggetto, perché di oggetto si tratta, quindi la mia confidenza con la chitarra è grandissima, però è il classico amore/odio, è il classico: se vogliamo stare bene insieme ognuno deve avere il proprio spazio. Quindi la lascio spesso lontana da me. È senz'altro uno strumento fantastico ed è totalmente indossabile, questo è il motivo per cui sono passato dal pianoforte alla chitarra, per la fisicità che io riesco a imprimere allo strumento, la vibrazione, quando vibra, vibra sul mio corpo quando è a tracolla, quando suono seduto sento un altro tipo di vibrazione, quando sono sul divano si inclina leggermente quindi ha un sapore e un gusto diverso.” E Bacchus? “Bacchus è un'azienda speciale, un'azienda giapponese che produce a mano strumenti su misura per i musicisti, per gli intenditori. In questo momento la collaborazione con i giapponesi, che è stata ottima fin dall'inizio, e con cui ci proponiamo di sviluppare strumenti sempre più eccelsi, mi porta ad avere oggi un modello tutto mio, color oro, perché mi piace il concetto del lusso, non tanto per mostrare, quanto per colpire e attirare l'attenzione. Il momento particolare di crisi che stiamo attraversando fa diventare scaramantico l'utilizzo di uno strumento con un look così audace. Dal rombo di un motore è nato poi il modello rosso, realizzato (in edizione limitata) per la collaborazione con la Nazionale Piloti e le Scuderie Ferrari Club, utilizzato durante la manifestazione benefica del 9 settembre 2009 ‘Un Cuore per l'Abruzzo’, svoltasi allo Stadio Brianteo di Monza. Si tratta di un modello più ‘rumoroso’ perché grazie ad alcune elaborazioni ha delle particolarità quali livello del volume più alto, tastiera più veloce, e… più caro di prezzo. Da Bacchus inoltre sono stato scelto come testimonial per il mercato italiano, grazie alle mie esperienze in ambito europeo e per il progetto PAST PART TWO, che incontra grande apprezzamento nel popolo del Sol Levante, da sempre grande estimatore della musica classica.”
…che cos’è PAST PART TWO?
“È un progetto nato proprio all'inizio di questo percorso, quando a Vienna e in Germania, ascoltando i classici, ho pensato: è ora di dare un tributo a questa musica perché ce l'ho dentro da tutta la vita. La linea retta la possiamo tracciare da allora alla collaborazione attuale con Dirisio. Oggi mi trovo meno impegnato rispetto ad allora a livello di tempo e forse anche di emotività, perché oramai sono un professionista navigato e quindi posso ritagliarmi più tempo per questo progetto. Penso che oggi sia arrivato il momento giusto, perché il viaggio nella classica ha richiesto un affinamento e un affiatamento con il mio compagno di avventura, Davide Rossi, con cui ho condiviso diverse delle esperienze artistiche che ho appena citato. Oggi ci troviamo a proporre una musica classica, rivisitata, al pubblico anche giovane, che ci conosce per le nostre precedenti esperienze, con cui manteniamo un filo diretto grazie agli ‘space’ (Myspace e Facebook n.d.r.) e che spesso ci chiede: ‘quando ti rivediamo sul palco con tizio? E adesso cosa stai facendo?’ Si presenta quindi l'occasione per proporre il nostro progetto ed avere un riscontro immediato, capendo anche come sia possibile portare avanti una ‘doppia vita’ artistica. Più possibilità hai di incontro, maggiore sarà la gente a sceglierti; PAST PART TWO, passato parte seconda, ma anche chiave di accesso come un passe-par-tout, è un modo per alzare i toni della musica classica, i quali, altrimenti, sarebbero sempre interpretati, per non dire suonati, da musicisti con un appeal diverso, con un look un po' meno alla moda, dai toni un po' più altezzosi, che non permetterebbero ai giovani di avvicinarsi. PAST PART TWO è un sito (www.fabriziofrigeni.tv), è un disco, è un modo di comunicare la musica classica che prende diverse forme e che non si concretizza per forza nell'oggetto che porti a casa. PAST PART TWO vuol dire: ‘vado ad ascoltare quello che suona la musica classica’, non vuol dire compro il disco o compro la maglietta, è una scelta anche più difficile, però è maturata anche grazie al fatto di aver avuto la fortuna di stare al fianco di tutti gli artisti che ho citato, di vedere il loro modus operandi. Sono più attratto ora da una ricerca diversa, più interiore e particolare, cosicché tutte le persone che mi sono state al fianco in questi anni possono condividere questa nuova sfida musicale.”
C'è qualcuno a cui pensi di dover dire GRAZIE?
“Sì, sicuramente! Le persone a cui devo dire grazie sono innanzitutto i miei genitori. La mia famiglia, così particolare, quando dico: ‘mia sorella suona, mio papà suona, mia mamma suona, gli zii suonano, le cugine suonano’, viene spontaneo dire ‘allora suonate tutti in famiglia… ecco perché!’ È giusto che io riconosca che crescere in una famiglia così particolare ha fatto sicuramente da impulso, nel bene e nel male, a tutto quello che ho fatto all'interno della musica. Perché mi è stata data la possibilità, che non capita a tutti, di fare ciò che volevo e di poter dire ‘datemi del tempo, vi porterò dei risultati perché sento che questo è il mio lavoro’. Un piccolo aneddoto: la prima chitarra l'ho comprata con le mance che mia nonna mi dava la domenica quando, dopo il pranzo, mi mettevo a suonare il pianoforte in casa sua. Insomma, fin da piccolo sono stato abituato a fare in modo che se volevo la mancia dovevo lavorare…”
“Spesso si sentono i musicisti anche in televisione ringraziare i propri genitori, però, anche a costo di sembrare banale, penso che il supporto della mia famiglia abbia dato il ‘la’ a tutto perché crescere in una famiglia dove i genitori ascoltano musica e parlano solo di musica ti porta a viverla nella normalità e ti rende più consapevole di te stesso e alimenta in te quel fuoco interiore dell'essere artista musicista che poi trasmetti agli altri con una sicurezza tale per cui gli altri ti ascoltano con interesse e stupore dovuti al fatto che rimangono incuriositi dall'incontrare una persona giovane ma così sicura di sé, sicura ma non arrogante.”
“Tra le persone che mi hanno sostenuto in questi anni, entrando magari in un ambito più tecnico, devo ringraziare sicuramente Stefano Albertini, dipendente della Ghisleri Strumenti Musicali, che è il mio consulente personale di strumenti musicali. Fu proprio a lui che mi rivolsi per comprare una ‘telecaster’ con le mance della nonna e, pur non avendo tutti i soldi per acquistarla, mi diede fiducia permettendomi di portare a casa lo strumento e pagarlo poi a rate. Da allora ho condiviso con lui tutte le esperienze in campo di strumenti.”
“Un discorso a parte lo merita la dottoressa Maria Conforti, che devo assolutamente ringraziare, perché posso dire: ‘non fosse per lei non starei suonando oggi’; infatti, per raggiungere un determinato livello tecnico, ho avuto parecchi infortuni e ho superato momenti difficili. Lei, dopo vari specialisti, è stata l'unica persona che mi ha detto ‘non conosco la patologia, però voglio studiare il caso’. Il suo interesse, la sua voglia di applicarsi, la sua onestà intellettuale, mi hanno convinto che era la persona giusta per curarmi. Da allora ogni qualvolta devo curare tendiniti o piccoli traumi so di potermi rivolgere a lei e altrettanto fanno, dietro mio suggerimento, altri colleghi musicisti.”
“La terza persona che voglio ringraziare, ma qui dovrei dilungarmi troppo per cui dico solo il nome, è Davide Rossi. Chi lo conosce sa benissimo quale è l'amicizia e la stima reciproca che ci legano essendo lui socio di tutte le mie iniziative musicali e pazzoidi, la persona che ha creduto fin dall'inizio in tutte le parole che ho detto o meglio, in tutti i progetti, in tutte le mie visioni che fanno parte anche del suo stile un po' bohemienne… e lui ci tiene a dire ‘un po' bohemienne’.”
Cosa pensi del momento che sta attraversando la musica? Quale è la tua “ricetta” per il futuro?
“Bella domanda! È la classica domanda in cui uno si può atteggiare a guru o profeta. Io vorrei che invece di essere il momento ad attraversare la musica fosse la musica ad attraversare il momento, perché l'unica ricetta possibile per la sopravvivenza della musica, ed io sono fiduciosissimo perché quella che è andata in crisi adesso non è musica, è che fino a quando ci sarà chi produce buona musica, finché ci saranno buoni autori, finché ci saranno le persone che si occupano di musica, come si occupano gli scienziati della loro scienza, allora potremo tagliare nuovi traguardi, potremo essere sempre ottimisti sul futuro e sulla ricerca musicale. Quando la musica va in crisi? Quando la si traveste da altre cose o meglio, quando si travestono altre cose da musica e si cerca di spiegare alla gente che quella è musica. Quella non è musica! Una volta, anche se i compromessi sono sempre stati fatti, semplicemente c'era, per chi faceva musica, un riconoscimento diverso, ma sarebbe anche sbagliato vederla così, perché in realtà dobbiamo ricordarci che nel 700 non c'era soltanto Mozart, Beethoven e Bach! Nel 700 c'erano i menestrelli dentro e fuori dai castelli, c'era la contadina che suonava il liuto o la chitarra, musica che è andata totalmente persa. C'era il cantore della chiesa che scriveva per il suo coro: è rimasto nulla di tutti quegli artisti perché, a parte qualche caso di sfortuna, quello che ci è stato tramandato è un discorso più legato alla ricerca sonora e allo studio della musica, quindi ci ricordiamo di Mozart e non del giullare di corte. Anche oggi bisogna aver la capacità di riconoscere il Mozart e dare meno ascolto al giullare, prendendolo magari per serio, il giullare deve farci divertire, deve farci ridere, ma non possiamo elevarlo a idolo perché toglieremmo visibilità a quelli che idoli saranno e verranno riconosciuti nel futuro, quindi, senza fare nomi, fra mille anni magari verranno ascoltati nomi che oggi non riusciamo a trovare nemmeno ricercandoli con Google e saranno completamente dimenticate cose che oggi ci sembrano innovative, profetiche ed importanti, cose che occupano talmente tanto spazio da offuscarne altre che meriterebbero di più.”
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