comprensibile molto più del raffinato politichese), ma sui veri problemi dei cittadini, che gradatamente si stanno allontanando dalla politica e lasciano il posto a tutto ciò che stiamo vedendo. È strano, direte voi, che io trovi delle affinità con l’intervento di Fausto Bertinotti a “Che tempo che fa”: la sinistra non esiste più non solo come possibile alternativa ma soprattutto per incapacità propositiva, idonea a cambiare anche senza essere al governo (il ricordo più significativo è stato lo statuto dei lavoratori steso e emanato non certo con al potere i comunisti).
Secondo Bertinotti gli operai sono rimasti soli, inghiottiti da un mondo egoista che non sa coagulare le forze in una sinergia che da sola può ostacolare il fagocitare delle individualità, richiamare l’interesse ai problemi di tutti… L’ho sempre stimato per la capacità intellettuale propositiva piuttosto utopistica e spesso di rottura, sostenuta da uno stile elegante e raffinato, per il suo pianto nel momento dell’abbandono della segreteria del suo partito per lasciare posto ai giovani… con tutti i suoi difetti, la sua storia e i suoi privilegi, molti dei quali persistono, e che lo hanno presentato all’opinione pubblica come un buon idealista teorico, ma piuttosto borghese. Anche lui però non ha mai probabilmente vissuto la difficoltà di vivere con uno stipendio da proletario…
Così va il mondo, anzi, così è forse sempre andato… (parafrasando una frase manzoniana e modificandola leggermente); ma oggi il costo della politica è veramente insostenibile a fronte delle sue carenze nell’affrontare i problemi veri, nel deliberare serie riforme fiscali, giuridiche (altro che processo breve… non dico come avveniva nella culla della civiltà di Atene dove il mattino si istruiva il processo e la sera si provvedeva alla esecuzione della sentenza, dove nel momento della decadenza anche l’ostracismo, l’atto di allontanamento dalla città di persone che avrebbero potuto nuocere alla comunità - da ostracon ‘coccio’ su cui si scriveva il nome dell’esiliabile - poteva essere frutto di gelosie e di interessi di parte), ma attendere decine di anni per vedere affermati i propri diritti come oggi, quando a volte uno muore prima, è probabilmente il più grande atto di ingiustizia che l’eccesso di libertà (o di interessi di una certa casta) possa produrre.
Completo la riflessione citando l’articolo di fondo del “Corriere della sera” del 2 febbraio di Sergio Rizzo “I regali elettorali delle regioni”, in cui l’autore denuncia alcune mosse di “captationes benevolentiae” preelettorali, tra cui cito alcune del primo paragrafo [la lettura dell’articolo completo ha anche una valenza di ordine storico sulla ricorrenza e sulle motivazioni insite in questo spreco di denaro
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