L’ITALIA AL BIVIO
di Pierluigi Piromalli
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L’esecutivo di Berlusconi appartiene ormai al passato e con esso tramonta l’era del berlusconismo, che ha unito ed allo stesso tempo diviso il Paese per diciassette lunghi anni, durante i quali, tra annunci di programmi di riforma e cruente battaglie ideologiche con l’opposizione, si è assistito alla forte contrapposizione con il potere giudiziario costantemente concentrato a ostacolare la strada all’uomo “forte” che sprigionava dilagante ottimismo accendendo gli animi delle folle pidielline. Ora che i nodi sono drasticamente venuti al pettine e che l’Europa ci ha concesso una risicata fiducia a tempo, bisogna prendere atto della fine di un’ideologia, sempre che tale si possa definire, per lasciar spazio ad una nuova era politica che si affranchi dai proclami e dalle promesse non mantenute e che racconti la realtà di un Paese pericolosamente traballante ed economicamente in stallo.
Le interpretazioni di questo dissesto che ci ha condotti alla crisi, acuita dalle avverse congiunture internazionali, sono diverse e variano a seconda dei punti di vista e delle preferenze politiche. Una prima motivazione, a parere di molti, è quella della inadeguatezza e della perdita di credibilità del governo Berlusconi, che si è avvitato su sé stesso apparendo incapace, in un momento storico assai delicato, di varare un piano di riforme anche dure per fronteggiare la crisi e restituire la fiducia ai mercati scossi e preoccupati da questa indecisione politica che accomuna, sebbene con differenti problematiche, l’Italia alla Grecia.
Altra giustificazione, secondo altri, è quella di imputare la responsabilità della crisi alla subdola volontà dei partner europei più forti di scaricare sull’Italia le loro difficoltà e inadempienze. Probabilmente le due tesi sono entrambe corrette e complementari, originando da una situazione che vede l’Italia in ritardo cronico, in tema di crescita e di apparato sociale, rispetto ai Paesi del Vecchio Continente.
L’indebolimento del Paese e la progressiva perdita di fiducia si sono sostanzialmente avverati allorché Berlusconi, ormai messo alle corde dagli alleati e consapevole che le vie d’uscita per continuare a mantenere alto il consenso politico ed elettorale fossero praticamente nulle, ha deposto le armi rinunciando a varare il decreto sullo sviluppo. Questa inerzia mista a rinuncia si è tradotta in un messaggio chiaro e definitivo, sia al Paese sia all’Europa, particolarmente attenta, negli ultimi tempi, a monitorare l’operato dell’Esecutivo, ovvero che la tanto decantata leadership si era ormai esaurita e
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