La sacra di San Michele avvolge la cima della montagna, vi poggia con i suoi pilastri occultando ed esaltando al tempo stesso il poderoso slancio della roccia. Lo spettacolo è grandioso. La sua storia è un romanzo intessuto di miracoli, che ha inizio nell’anno di grazia 997. In quel tempo, il vescovo di Ravenna, Giovanni Vincenzo, ha una crisi mistica. Lascia le cure del mondo e si fa eremita tra le balze del Monte Caprasio, sul versante sinistro della Val di Susa. Qui decide di erigere con le sue mani un piccolo oratorio di pietra e di legno; ma ogni notte un misterioso ladro gli ruba il materiale della costruzione, come per fargli dispetto. Il romito si apposta allora presso il luogo dei furti e, al calar delle tenebre, vede una schiera di angeli trasportare in volo i tronchi e i massi verso la vetta del Monte Pirchiriano, sul versante opposto della valle. Quando termina il “ponte aereo”, ecco la tremenda figura dell’arcangelo Michele stagliarsi nel cielo e additare la vetta del Pirchiriano tra i bagliori di un incendio improvviso.
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Giovanni Vincenzo afferra l’avvertimento. Si trasferisce sulla vetta della montagna di fronte e qui edifica il sospirato tempietto di preghiera. Un luogo veramente adatto per attendere in pace l’ormai imminente apocalisse dell’anno Mille.
Quando arriva la notte fatale della fine del mondo, ecco che il mondo rimane lo stesso di prima. Il Giorno del Giudizio è rinviato. E poco dopo l’eremita del Pirchiriano muore. Il suo oratorio, però, non rimane abbandonato. Viene adocchiato da un forestiero, un pellegrino penitente. Si chiama Ugo di Montboissier e veste panni miserabili, pur essendo in realtà il gran signore di Cuxa nell’Alvernia. Che ci fa quel potente feudatario francese sul selvaggio “monte dei porci” (ché tale è il senso del nome “pirchiriano”)? Ugo, detto lo |
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