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VIAGGIO NEI MISTERI DI LIONE, LA CITTÀ DEI DUE FIUMI
                                  di Massimo Jevolella

     Sono arrivato a Lione in una chiara giornata di primavera. Viaggio breve e comodo, in treno, partendo da Torino. La città mi ha subito avvolto con la sua forza tranquilla, che invita alla scoperta di un tesoro incredibile di storie e di misteri. Da dove viene, mi son chiesto, quest’atmosfera di potenza profonda e serena, che fa di Lione uno dei poli principali della geografia occulta dell’Europa? Gli storici concordano nell’attribuirla al flusso impetuoso e regolare dei due fiumi che qui hanno la loro confluenza e sulle cui sponde l’antica città s’è sviluppata nei secoli: il Rodano e la Saona. Jean-Louis Bernard, che ha studiato le forze geocosmiche che agiscono in alcune zone nevralgiche di Lione, dice che nella città vive “un’anima collettiva” influenzata dall’energia straordinaria dei due fiumi che – caso forse più unico che raro al mondo – per un lungo tratto scorrono vicinissimi e quasi paralleli nel pieno centro urbano.
     Non per nulla Lione è anche la progenitrice di tutte le città di Francia. Essa rappresenta l’anima primordiale dell’intera nazione. Il suo antico nome celtico era Lug, latinizzato in Lugdunum dai conquistatori romani. Lug era la divinità solare dei Celti, preposta a musica, poesia, magia e guerra, ma la vocazione segreta di Lione è notturna, lunare: vi sorgeva nei secoli gallo-romani, in cima al Plateau de la Sarra, un importante tempio della dea Cibele, gran madre dai riflessi oscuri e dagli aspetti demoniaci.
     Lione è dunque una città doppia, ambigua, pervasa da simbolismi di vita e di morte. Un bassorilievo della cattedrale gotica di Saint-Jean ne è un esempio. Raffigura Aristotele, il gran filosofo della ragione, nell’atto di camminare a quattro zampe con una donna scarmigliata sulla schiena, che selvaggiamente lo sprona. Chi è dunque quella donna? Narra una leggenda che Alessandro il Macedone, il futuro condottiero discepolo di Aristotele, si trastullasse con eccessiva disinvoltura fra le braccia di una cortigiana. Scandalizzato, il filosofo tentò di allontanare la donna da Alessandro ma ne rimase a sua volta irretito: il severo Aristotele era diventato così lo zimbello di una prostituta. Il bassorilievo di Lione rappresenta dunque questa precisa situazione: Aristotele, simbolo della ragione, dominato e cavalcato da una cortigiana, simbolo dell’irrazionale, della passionalità libera e sfrenata. Quale allegoria poteva esprimere più perfettamente l’anima di Lione, città che esternamente è polo positivo e solare ma interiormente nutre una potente vocazione alla notte, alla luna, al mistero?
     Una semplice passeggiata nei luoghi antichi di Lione può trasformarsi così in un viaggio nell’occulto. Dalla sommità della collina di Fourvière, dove ora sorge l’imponente chiesa di Notre Dame, una via stretta e tortuosa discende verso Saint-Jean, indicandoci un percorso che è al tempo stesso cronologico e iniziatico. La presenza del dio Lug è occulta perché il suo tempio sorgeva proprio nel luogo dell’attuale basilica mariana. Subito al di sotto ecco le vestigia della città romana, quindi il dedalo pittoresco della Lione medievale, che sfocia sulla piazza di Saint-Jean, dove sorge la bellissima cattedrale gotica e dove ha inizio la lunga via intitolata al santo, vero asse topografico e spirituale della città, attorno al quale gravitarono nei secoli successivi al Medioevo tutti i personaggi che fecero di Lione la capitale europea dell’occultismo e della magia. Infine, al termine della rue Saint-Jean, la visione maestosa dei due fiumi, la pianura, i sontuosi palazzi della città sette-ottocentesca e sullo sfondo i grattacieli costruiti negli ultimi decenni. Tra la vetta di Notre Dame e quella del “matitone” del Crédit Lyonnais corre un arco di oltre duemila anni di storia. Dal solare dio Lug (l’oro spirituale) al profano dio Denaro, il tenebroso oro materiale.
     Se dovessimo localizzare nel tempo il fulcro della storia magica di Lione, dovremmo comunque risalire a un episodio avvenuto il 14 novembre 1305. Quel giorno, di mattina, il re di Francia Filippo il Bello pose la corona papale sul capo del nuovo pontefice romano, Clemente V. Dopo la cerimonia, che si svolse nel chiostro di Saint-Just, si formò un lungo corteo che da Saint-Just discese, lungo la ripida via del Courguillon, verso il quartiere di Saint-Jean. All’improvviso la balconata di una casa cedette e crollò trascinando con sé un brandello di muro. Filippo il Bello, a cavallo dietro il papa, si salvò per miracolo. Il fratello del papa e il duca di Bretagna furono travolti e morirono. Clemente V cadde dalla sua mula e non si ferì; nel cadere, però, perse la tiara e dalla tiara si staccò un fantastico rubino del valore di diecimila scudi, che non venne mai più ritrovato (a Lione ci sono maghi e sognatori che ancora oggi lo vanno cercando speranzosi!).
     Per intuire il significato di presagio e le oscure implicazioni di questo episodio occorre accennare ai disegni politici e religiosi che in quell’epoca si andavano delineando intorno alla figura di Filippo. Il re francese era impegnato in una lotta senza quartiere contro la potente organizzazione dei cavalieri templari. L’incoronazione di Clemente V faceva parte di quel progetto: il 14 settembre 1307 Filippo avrebbe ordinato l’arresto di tutti i templari sul territorio francese; il 13 ottobre si sarebbe impossessato della Torre del Tempio a Parigi; il 3 aprile 1308 l’ordine del Tempio sarebbe stato sciolto in un solenne concilio, dopo il forzato trasferimento di Clemente V ad Avignone, e subito dopo il Gran Maestro dei templari, Jacques de Molay, sarebbe stato bruciato vivo su un isolotto della Senna.
     La complicità di Clemente V nello sterminio dei templari non basta a spiegare del tutto l’episodio della rue de Gourguillon. A Lione il Tempio aveva un centro, localizzato in un intero quartiere, di assoluto rilievo e privilegio. Vi si praticava, secondo alcuni, il culto segreto di Baphomet (deformazione del nome Mahomet), una sorta di osceno dio pagano, rappresentato da un essere alato e androgino, con barba da maschio, mammelle da donna e la testa cornuta di un diavolo. Così Jacques de Molay e i suoi templari furono accusati di idolatria e di infamante satanismo. E si favoleggiava già, quando Clemente V fu eletto pontefice, dell’esistenza di una chiesa segreta che aveva il suo centro a Lione e sottostava alla guida di un “papa nero” di cui nessuno conosceva l’identità. Era lo stesso de Molay? O un misterioso adepto delle sette eretiche catare che erano state annientate un secolo prima nel sud della Francia? Una cosa comunque è certa: quando quel pezzo di muro crollò sul corteo regale e papale nel 1305, molti a Lione pensarono che l’incidente fosse stato provocato dai sicari del “papa nero” templare.
     Da quel momento Lione si circondava, di fatto, dell’aura magica e anche satanica che fino a oggi resterà vivissima: infatti è tuttora il centro di molti movimenti, più o meno segreti, che si rifanno nello spirito e nei riti alle antiche tradizioni esoteriche prosperate per secoli nella città, sotto il segno di Lug, di Cibele, di San Giovanni e della Vergine Maria.
     La storia di Lione, tuttavia, è costellata anche di prodigi. Uno strano signore dall’accento italiano, circondato da una piccola corte di fedeli, era giunto in città nell’autunno del 1784 e si era stabilito all’hotel de la Reine, vecchio albergo del quai Saint-Clair. Il signore si faceva chiamare Phoenix e diceva d’essere un conte, oltre che gran maestro di medicina ermetica e di alchimia. Aveva un segretario assistente di nome Rey de Morand, lionese, e una donna, Lorenza, che celebrava riti arcani nelle vesti della sacerdotessa di Iside. I frammassoni della loggia detta La Bienfaisance piangevano a quell’epoca la morte recente di un loro veneratissimo fratello, Prost de Royer, che negli ultimi anni della sua vita aveva diviso tutti i suoi beni con i poveri della città, riducendosi in miseria. Il conte Phoenix – che in realtà era Vincenzo Balsamo, alias Cagliostro, e che di lì a poco avrebbe fondato a Lione la loggia massonica di rito egiziano – promise ai fratelli della Bienfaisance che un certo giorno, a una certa ora, lo spirito di Prost de Royer sarebbe ridisceso sulla terra, materializzandosi dinanzi a loro, come già Cristo aveva fatto con gli apostoli dopo la sua morte e risurrezione. I frammassoni, benché increduli, decisero di assistere al prodigio e, con loro somma meraviglia, il 20 ottobre 1784 videro apparire lo spettro del loro venerato maestro, che con dolcezza li benediceva.
     L’apparizione fece scalpore, ma non fu certamente l’unico episodio del genere nella storia di Lione. Un altro avvenimento celebre ebbe luogo nel 1856 e, fatto davvero curioso, proprio nella casa del Gourguillon dalla quale s’era staccato il pezzo di muro che aveva fatto cadere il papa dalla sua cavalcatura. In quell’anno, dunque, viveva a Lione un sacerdote, padre Jandel, che aveva fama di uomo spirituale e di esorcista. Un giorno durante la Messa egli tenne una predica sulla divinità di Gesù e sulle virtù del segno della croce, ma al termine della funzione fu sfidato all’uscita della chiesa da uno sconosciuto che gli propose un incontro con dei fedeli di Satana, nella strada chiamata montée du Gourguillon. Padre Jandel accettò la sfida senza timore ed entrò nell’antica casa ch’era divenuta la sede di una setta diabolica il cui maestro, di alta statura, portava un gran cappello e si muoveva con gesti da incantatore. Alla vista di quel personaggio, Jandel brandì il suo crocifisso e pronunciò le sue formule sacre; ma proprio in quell’istante l’ignoto personaggio svanì all’improvviso, come un fantasma, lasciando il sacerdote in uno stato di comprensibile stupore. L’uomo svanito nel nulla era forse l’erede del “papa nero” che cinque secoli prima aveva attentato alla vita di Clemente V e s’era impossessato del suo favoloso rubino?
     Infinite cose resterebbero da narrare sulla storia magica di Lione. Fino ai miracoli del leggendario Monsieur Philippe, un mistico che, come Cagliostro, affermava di possedere i segreti della medicina ermetica. Philippe aprì il proprio studio a Lione nel 1885, al numero 35 della rue Tête-d’Or, in una casetta isolata da un giardino e da alte mura. Dodici anni dopo, il 21 maggio 1897, una donna condusse in quella casa una bambina di dieci anni, che dall’età di tre aveva le gambe paralizzate e la colonna vertebrale deviata. La bambina uscì dalla casa reggendosi in piedi: era guarita. La fama di Philippe si sparse per l’Europa. Nel 1900 egli compì il suo primo viaggio a San Pietroburgo, diffondendo alla corte degli zar la conoscenza dei segreti magici di Lione. In Russia egli operò altre miracolose guarigioni, fino a quando il clero ortodosso, geloso del potere che Philippe aveva acquisito presso gli zar, ordì un complotto per allontanare il taumaturgo lionese dalla corte, sostituendogli il famigerato Rasputin.
     Monsieur Philippe morì a Lione il 2 agosto 1905, all’età di 56 anni. Il suo discepolo Papus fu l’ultimo grande mago di Lione: nell’anno della morte del suo maestro si recò in Russia e lì, si dice, riuscì a materializzare lo spirito del defunto zar Alessandro III, il quale consigliò a Nicola II, suo figlio, di schiacciare la rivoluzione che presto sarebbe scoppiata. In seguito Papus profetizzò che, comunque, la rivoluzione russa non sarebbe cominciata prima della sua morte. Egli morì in guerra nel 1916, pochi mesi prima di quel fatale ottobre del ’17 che avrebbe cambiato la storia del mondo.

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