Dunque, un’occasione intelligentemente colta dalla GAMeC per porre Bergamo all’interno del circuito dell’arte contemporanea “che conta”, anche e soprattutto a livello internazionale, essendo l’Arte povera un movimento italianissimo, il quale, più di altri, si è imposto a livello internazionale fin dal 1968, anno della sua esplosione. La sola Transavanguardia di Achille Bonito Oliva, altro padre illustre, può paragonarsi come successo internazionale all’Arte povera, anche se la transavanguardia è un movimento che ha avuto più centri di diffusione nel mondo (Germania, Stati Uniti), mentre l’arte povera è un movimento che si è sviluppato ed esploso in un contesto sociale-culturale-politico tipicamente Italiano.

     Il movimento nacque nel 1967 in seguito alla Mostra curata da Germano Celant presso la Galleria La Bertesca di Genova; il nome Arte Povera proviene dal teatro di Jerzy Grotowski, il quale afferma che tale movimento si manifesta essenzialmente "nel ridurre ai minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi". In queste poche parole c’è l’essenza del movimento,
che si caratterizza per il ricorso a materiali che provengono dalla natura e dalla fuoriuscita dall’opera d’arte convenzionale (quadro, scultura) ricorrendo a linguaggi come l’installazione e ad un uso anche di esseri viventi veri (come cavalli o pappagalli) nelle opere ambientali concepite spesso al di fuori delle canoniche gallerie d’arte.
     Per chi volesse approfondire sul movimento: http://it.wikipedia.org/wiki/Arte_povera, dove l’Arte povera viene messa giustamente in relazione a Joseph Beuys, il padre di tutta l’arte concettuale europea della seconda metà del Novecento.
                                                                      cristiano.calori@fastwebnet.it
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