È il simbolo di speranza e di rinnovamento della vita.
Tempi di Apocalisse, tempi di Ararat. Eccola qua, una montagna destinata ad andare sempre più di moda, coi tempi che corrono. Se nel mondo si moltiplicano i segni del Disastro Finale, della collera divina che avanza (crisi economica globale, distruzione dell'ambiente, guerre, fame, terrorismo, migrazioni bibliche, corruzione galoppante, e chi più ne ha più ne metta) il sacro monte Ararat è sempre là, che aspetta, immenso, solenne e rassicurante, esattamente come lo fu nella notte dei tempi, quando la sua vetta, emergendo dalle acque del Diluvio Universale, accolse l'Arca di Noè, con tutte le sue creature consacrate al compito di ricreare la vita su basi migliori, liberandosi dagli incubi del passato.
Che incredibile visione, questo perfetto cono vulcanico alto 5.137 metri, che si eleva di 4.000 metri sul brullo altopiano che lo circonda. Chi percorre la strada che dalla città di Erzurum, nella Turchia orientale, si snoda verso il confine con l'Iran, nei giorni chiari comincia ad avvistare la mole dell'Ararat subito dopo Agri ed è un colpo d'occhio che lascia esterrefatti. Quel cappuccio di neve eterna e immacolata, colpisce soprattutto nei momenti più torridi dell'estate, come un'immagine irreale. A volte si perde tra le nuvole, a volte ne riemerge come un oggetto misterioso e anche nelle anime più fredde e razionali finisce per incutere un vago senso di mistero e di timore. Infatti, ci fu un tempo in cui le genti di questa regione, armeni in maggioranza, perché l'Ararat sorge praticamente al centro dell'Armenia storica, anche se ora si trova all'estremo limite orientale della Turchia, inorridivano all'idea che un essere umano potesse anche solo immaginare di avventurarsi sulla vetta di quel sacro monte. È impossibile arrivarci, dicevano. Ed era per loro come un dogma di fede: la certezza che il monte fosse inviolabile e inviolato e che il segreto dell'Arca fosse destinato a rimanervi sepolto per sempre.
Edwin Bernbaum, nel suo splendido saggio sulle montagne sacre del mondo, riferisce ad esempio la storia di un monaco armeno che per tre volte tentò di scalare l'Ararat. Che cosa sperava di trovarvi? I resti dell'Arca, indubbiamente, ma ancor più l'altare eretto da Noè per rendere grazie a Dio della salvezza ottenuta e la vigna dove il patriarca piantò i primi tralci dell'uva - egli fu lo scopritore del vino e fu anche il primo che se ne ubriacò, stando al ben noto episodio narrato nella Genesi - e infine il luogo in cui egli seppellì la moglie. Il povero monaco, tuttavia, non riuscì nel suo intento: dopo mille fatiche, quando