ARTE E CULTURA, IL NOSTRO PETROLIO
                                              di Cristiano Calori

     Se ci sono cose che abbondano in Italia queste sono l’arte e la cultura, per non parlare delle nostre bellezze naturali. Su questo non ci piove e non diciamo nulla di originale. Il fatto che nessun governo politico/tecnico non parli del potenziale economico inespresso di questa industria nazionale invece è molto originale.
     Se si fotografa il gettito prodotto nel 2010 in Italia dal settore culturale, comprendendo Cinema, Musica, Architettura, Design e Arti visive, siamo a 68 miliardi di euro ed impiega 1,4 milioni di persone. Sono cifre di tutto rispetto, che corrispondono, secondo Unioncamere in collaborazione con Symbola e l’istituto Tagliacarne, al 4,9% del prodotto dell’intera economia del paese ed in cui trova lavoro il 5,7% della forza lavoro.
     Il dato significativo è che l’industria culturale continua a crescere, malgrado la crisi economica, infatti nel triennio 2007-2010 è cresciuta del 3% a fronte dello 0,3% complessivo dell’intera economia, assumendo 13.000 addetti (0,9% del dato complessivo) a fronte di una perdita occupazionale complessiva del 2%. Dunque, la cultura nell’accezione più ampia è un’industria che produce ricchezza oltre che a crescita in senso più generale di una società, eppure, dati Eurostat alla mano, siamo (come Italia) fanalino di coda in Europa come numero complessivo di impiegati nel settore culturale. Ancora, analizzando meglio i dati che ci fornisce Unioncamere, se cresce il peso economico delle industrie culturali e creative private (Cinema, Musica, Editoria, Design, Architettura e Arti Visive) arretra quello legato al patrimonio culturale pubblico (Musei e Monumenti), dove diminuisce il valore aggiunto (-0,6% nel triennio 2007-2010) e calano gli addetti (-8,7%). Dunque, se i numeri non sono un’opinione, l’industria culturale italiana privata funziona bene ed in questo dato va compreso anche l’enorme patrimonio artistico gestito dalla Chiesa, quella pubblica molto meno.
     L’osservazione spontanea potrebbe essere che la scure dell’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti, ma non solo (“con la cultura non si mangia” affermò il glaciale Professore, frase che credo passerà tristemente alla storia) e i tagli progressivi agli investimenti pubblici nel settore culturale, passati dal 2,10% della spesa pubblica nel 2000 al 1,03% del 2010, abbiano affondato questo settore dell’economia pubblica, dando ragione a chi sostiene che il patrimonio culturale pubblico implode e si scassa per gli scarsi investimenti.

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