Il nostro ultimo “viaggio misterioso” ci ha condotti sul Monte Ararat alla ricerca, emozionante ma vana, della mitica Arca di Noè. E allora, sulla scia di quell’avventura, perché non dovremmo indagare su un’altra delle grandi storie misteriose narrate nella Bibbia? Restiamo dunque nell’area del Medio Oriente e andiamo in Iraq. È qui, nell’antica Mesopotamia, che il libro della Genesi colloca la vicenda fantastica della Torre di Babele, ma questa torre è mai davvero esistita? E se è esistita, com’era veramente e dove si trovava? Per rispondere seriamente a queste domande occorre forse rammentare fatti e luoghi molto più vicini a noi di quanto si possa immaginare. La chiave di tutto è nella potenza dei simboli.
I simboli possono essere una valida chiave di lettura per comprendere meglio gli avvenimenti della storia. Una chiave sorprendente e non di rado affascinante. Undici settembre 2001: i terroristi islamici abbattono le Torri Gemelle di Manhattan. Il significato del gesto è chiaro: le due altissime torri rappresentano la ricchezza e l'orgoglio della nazione più potente del mondo. Distruggerle, significa distruggere simbolicamente l'America. Marzo 2003: la vendetta degli Stati Uniti si abbatte sull'Iràq. Singolare nemesi storica! L'Iràq, che comprende le terre dell'antica Mesopotamia, è proprio l'area del mondo che ha visto sorgere il mito della torre più famosa della storia: la Torre di Babele, simbolo biblico della superbia umana che sfida la potenza del cielo e la sovranità di Dio.
Questo mitico monumento, di cui oggi non restano che pallidissime vestigia, fu edificato dai babilonesi tra il XII e il VII secolo avanti Cristo, ma, come se il suo mito non bastasse, è sempre in Iràq che, nel IX secolo dopo Cristo, i califfi musulmani della dinastia abbaside di Baghdàd elevarono un'altra fantastica torre: il minareto elicoidale della Grande Moschea di Samarra, il quale, grazie al cielo, è invece ancora intatto e costituisce una delle maggiori attrazioni monumentali del tormentato Paese mediorientale. Tra le due torri, quella di Babele e quella di Samarra, esistono delle notevoli analogie, sia sul piano del valore religioso, sia su quello puramente architettonico e costruttivo. Tuttavia, il nostro intento, qui, deve limitarsi all'esame della Torre di Babele e della sua storia incredibilmente ricca di fascino.
Circa quattromila anni fa, la fertile regione situata “tra i due fiumi” (in greco: meso-potamos) Tigri ed Eufrate, fu invasa da un popolo di origine semitica, gli Amorrei, che fondò il primo regno di Babilonia. Il re Hammurabi, promulgatore del primo codice legislativo della storia, fu il sesto sovrano di questa prima dinastia babilonese. Nelle lingue semitiche, la parola “bâb” significa “porta”; mentre il termine “el” vuol dire “dio”. Ora, Babilonia deriva da Babele, ossia da “Bâb-el”, quindi: “La porta di Dio”. Dunque, una città magica, carica di valori religiosi, un luogo concepito letteralmente come una scala, un transito diretto tra terra e cielo, tra mondo dei mortali e mondo della divinità. Fu per questo che Nabucodonosor (605-562 a.C.), il sovrano più famoso della seconda dinastia babilonese, concepì l'idea di creare a Babilonia un'immensa area di culto, detta Esagila (il “Tempio dall'alto tetto”), che consacrasse per sempre il primato della città come capitale religiosa del mondo. Dette quindi inizio alla costruzione di una ciclopica cinta muraria e di una serie impressionante di templi dedicati alle maggiori divinità, ma il più possente, il più elevato e importante di tutti i templi doveva chiamarsi Etemenanki, che vuol dire “Dimora del fondamento del cielo e della terra”, e si doveva dedicare a Marduk, il “Figlio del sole”, protettore della città di Babilonia e dio supremo dell'olimpo babilonese.
Fu così che ebbe origine il mito biblico della Torre di Babele. Sì, perchè quando gli ebrei, trascinati in schiavitù a Babele da Nabucodonosor nel 587 a.C., videro la gigantesca torre di Etemenanki, credettero di ravvisare in essa un empio progetto di sfida al cielo, quasi un elevarsi della superbia umana contro il dominio inviolabile dell'unico Dio. Cerchiamo allora di capire meglio cosa doveva essere effettivamente il favoloso tempio di Marduk che tanto impressionò la fantasia e l’indignazione degli ebrei.
L'antica Babele o Babilonia è oggi una grandiosa area archeologica situata circa a metà della strada che collega Baghdàd con la città di Najàf. L'opera di ricostruzione dell'Esagila, voluta dal governo iracheno nei passati decenni, ha prodotto effetti quasi deliranti. Il giornalista Marco Roncalli (mio caro amico e pronipote del “papa bergamasco” Giovanni XXIII, di cui abbiamo pubblicato la biografia nel dicembre 2011), che pochi anni dopo la prima Guerra del Golfo riuscì a percorrere da nord a sud tutta l'antica Mesopotamia, ha scritto nel bellissimo libro “Il Tigri e l'Eufrate, i fiumi del Paradiso”: “Sui resti della doppia cinta muraria un tempo lambita dall'Eufrate sorge oggi un'imponente e regolare cortina di mattoni, interrotta qua e là dall'astratta geometria delle porte. All'interno poi, dove il Dipartimento delle Antichità iracheno ha agito senza limiti, regna una spazialità artefatta e innaturale: nessuna delle grandi superfici architettoniche denuncia il minimo dettaglio ricostruttivo autentico: solo finte grandiosità in stile hollywoodiano, e poco altro. Di fronte a tanta desolazione, resta davvero un'unica consolazione: che agli archeologi di Saddam non sia mai venuta l'idea catastrofica di ricostruire anche la Torre di Babele!” Di questo, dobbiamo forse ringraziare il dio Marduk, che sicuramente voleva essere lasciato in pace per sempre.
Quel che oggi si vede ancora del suo tempio sono i resti delle fondamenta: un'enorme fossa quadrangolare, di metri 90x90, e nulla più, ma il tempio Etemenanki, voluto da Nabucodonosor, in realtà, com'era? La domanda cruciale è questa, perché da questo interrogativo, nei secoli, la fantasia degli uomini si è scatenata nel modo più vario e più bizzarro, basti pensare alle forme fantastiche assunte dalla Torre di Babele nelle due versioni dipinte da Pieter Bruegel nel 1563 e oggi conservate nei musei di Vienna e di Rotterdam. Tuttavia, proprio dall'osservazione di questi dipinti risulta evidente un dato di valore storico: in entrambi, la mitica torre è raffigurata come una sorta di gigantesca torta circolare a otto strati, che si vanno riducendo gradualmente di raggio fino alla sommità. Ciò corrisponde in effetti alla descrizione sicuramente attendibile della torre che ci è pervenuta grazie a Erodoto, testimone oculare del monumento nel V secolo a.C.. Lo storico greco concentrò le sue impressioni in poche righe delle “Storie”: “In mezzo al tempio si erge una torre massiccia, che misura uno stadio sia di lunghezza che di larghezza, e su questa torre è posta un'altra torre, e su questa un'altra, fino a otto torri.” Bruegel, dunque, seguì le indicazioni di Erodoto solo in parte, raffigurando la torre a otto piani, ma non a base quadrata, come chiaramente Erodoto indica, e come gli scavi archeologici hanno confermato.
In quanto alla Bibbia, ecco che ci attende una sorpresa. I celebri nove versetti del capitolo 11 della Genesi, che narrano la storia della torre la cui cima doveva penetrare nel cielo, la superbia dei suoi costruttori e la confusione delle loro lingue generata per punizione da Dio, contengono anche un'annotazione di estremo interesse dal punto di vista tecnico-costruttivo: “E si dissero l'un l'altro: orsù, facciamoci dei mattoni, e poi cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro invece della pietra e il bitume invece della malta. Questa è un'indicazione molto precisa e certamente assai veritiera: gli archeologi moderni non hanno dubbi sul fatto che le antiche “ziqqurat” babilonesi, cioè i templi mesopotamici a gradoni a pianta quadrangolare, molto simili alle piramidi del Messico, fossero edificate in mattoni. E addirittura sanno, da una testimonianza del re Nabucodonosor II, che per realizzare uno solo dei gradoni della torre erano stati messi in opera oltre 14 milioni di mattoni.
È chiaro però che le indicazioni di Erodoto e della Bibbia non potevano bastare a definire sufficientemente la forma e le dimensioni della Torre di Babele. A dare un tocco di maggior precisione al quadro, non più fantastico, come quelli di Bruegel, giunse il ritrovamento di un testo cuneiforme (la cosiddetta “Tavola dell'Esagil” oggi custodita al Louvre), che elenca meticolosamente le misure del monumento. Scrive l'archeologo Paolo Matthiae nel libro “La storia dell'arte dell'Oriente antico”: “L'Etemenanki a pianta quadrata e in cui lunghezza, larghezza e altezza corrispondevano tutte alla misura di 91,50 metri, era costituito da sette gradoni, il primo dei quali in basso era alto circa 33,50 metri, il secondo 18,30, mentre il terzo, il quarto, il quinto e il sesto avevano tutti la stessa altezza di 6,10 metri. Il settimo ripiano, alto 15,25 metri, era costituito dal tempio, di 24 metri per 22,50, dove secondo il testo cuneiforme si trovavano le immagini non solo di Marduk ma anche di Nabu e di Tashmetu, di Ea, di Nusku, di Anu e di Enlil, ed era custodito davanti al trono del dio il celebre e sontuoso letto delle nozze sacre di 4,50 per 2 metri, ricordato anche da Erodoto.”
Lo stesso Matthiae esclude che l'accesso alla sommità del tempio fosse dato da una scalinata a rampa elicoidale, come quella che invece caratterizza il minareto di Samarra. L'ipotesi più probabile è quella di un sistema di scale esterne simili a quelle dei templi messicani, con la differenza che in questi ultimi un'unica scalinata conduce dal piano del suolo alla sommità delle piramidi, mentre nella ziqqurat di Babele dovevano esserci delle scale più brevi, dislocate su lati diversi della torre, una delle quali disposta, come nelle piramidi messicane, a pianta ortogonale rispetto alla parete d'appoggio, che non era inclinata ma verticale; mentre le altre scale dovevano appoggiarsi in parallelo alle altre pareti. Le scale servivano agli uomini, ai sacerdoti. Gli dei non ne avevano bisogno. Il mito racconta che il dio della luna, Sin, nelle limpide notti babilonesi ancorasse la sua barca alla cima della superba ziqqurat. Perché il tempio era un simbolo della montagna sacra, che in alto tocca il cielo e non fa più parte del mondo degli uomini.

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