Rari sono i luoghi del mondo in cui storia, mito e fantasia si sono intrecciati in nodi così indissolubili e affascinanti come a Cnosso, l'antica capitale dell'isola di Creta, dove oggi fiumane di turisti di ogni nazione vengono a visitare le rovine del Palazzo di Minosse, parzialmente ricostruito nei primi anni del secolo scorso dall'archeologo inglese Arthur Evans. Storia, in primo luogo: perché è qui che realmente ebbe il suo fulcro la dinastia minoica che dominò Creta durante i lunghi secoli della talassocrazia mediterranea (tra il 2000 e il 1400 avanti Cristo). Mito, in secondo luogo: perché è sempre qui che gli scrittori dell'antichità, da Platone a Virgilio, hanno ambientato la vicenda drammatica dell'uccisione del Minotauro da parte dell'eroe attico Teseo e quella dell'ingegnosa “fuga aerea” di Dedalo e Icaro imprigionati dal re Minosse nella prigione impenetrabile del Labirinto. Fantasia, infine: perché intorno a Cnosso e al suo mitico Labirinto sono fiorite nei secoli le più incredibili versioni narrative e interpretative, fino a giungere all'opera ricostruttiva di Evans, che come ora dirò fu in gran parte frutto di un'immaginazione sfrenata e di un uso a dir poco disinvolto delle tecniche di scavo e di materiali edilizi, come il cemento, ovviamente inconcepibili nel complesso originario del Palazzo. Torniamo al mito, però, perché è da qui che tutto ebbe inizio nell'immaginazione degli antichi.
Eccoci dunque ad Atene, in un tempo fuori dal tempo, ed ecco apparire sulla scena un uomo di stirpe reale chiamato Dedalo, geniale inventore di strani marchingegni, scultore, architetto, artista universale. La sua mente è divina, il suo ingegno è superiore a quello di tutti gli altri uomini. È la sintesi perfetta dello scienziato e del mago. Nel dialogo del “Menone”, Platone afferma che Dedalo riuscì perfino ad animare alcune sue statue di pietra, quasi come avrebbe fatto molti secoli dopo il rabbino Loew di Praga, creatore del Golem, ma un grande ingegno ha sempre le sue debolezze e anche Dedalo ne ha una: la gelosia.
Un giorno accade che sua sorella Perdice lo prega di prendere con sé, come allievo e garzone di bottega, il suo giovane figlio Talos. Dedalo accetta e in poco tempo, sotto la sua guida, il ragazzo non solo apprende le arti della scultura e dell'architettura, ma rischia addirittura di superare in bravura l'illustre suo zio e maestro, il quale, accecato dalla gelosia, un giorno conduce il nipote sull'Acropoli e lì, dall'alto di una rupe, lo precipita nel vuoto e lo ammazza. La legge di Atene si abbatte inflessibile sull'omicida e Dedalo è costretto a fuggire via dall'Attica, cercando rifugio a Creta presso la corte del re Minosse, dove viene accolto con tutti gli onori e dove s'innamora di una schiava da cui avrà il figlio Icaro.
Ma chi era veramente Minosse? Secondo gli storici e gli studiosi delle religioni comparate, il nome “Minos” non era quello di un personaggio particolare, ma il generico appellativo dei sovrani che per secoli ressero la potenza cretese. Esattamente come il termine Faraone per i sovrani egizi. L'etimologia del nome è affascinante. Analoga, secondo René Guénon, a quella indoariana di “Manu”, a quella egizia di “Menes” e a quella celtica di “Menw”, essa indica in ogni caso la figura mitica del legislatore universale, che è anche giudice supremo dei vivi e dei morti. Minosse era il re-sacerdote e il modello supremo di tutti i sapienti. Aveva ricevuto il dono della saggezza divina da suo padre Zeus, il sovrano di tutti gli dèi. Sua madre era, invece, una donna mortale, una principessa fenicia di nome Europa e le cose erano andate così: quand'era giovinetta, Europa amava giocare con le sue compagne sulla spiaggia di Sidone. Dall'alto del cielo, Zeus l'aveva adocchiata, se n'era innamorato, e per conquistarla le era apparso nelle sembianze di un candido toro emerso dalle onde del mare. Poi l'aveva rapita e trasportata in groppa fino a Creta, sua patria natale, dove all'ombra di un platano l'aveva posseduta e messa incinta di tre gemelli: Minosse, Radamanto e Sarpedone. Dopo la nascita dei marmocchi, il dio, che per ragioni di rango non poteva sposare una donna mortale, aveva avuto il buon senso di dare in sposa la bella Europa al re cretese Asterione, che ben volentieri aveva accettato di diventare il padre adottivo di quei figlioli semidivini. Quando poi i tre ragazzi divennero uomini e si pose fatalmente il problema della successione al trono, Minosse, il predestinato al regno, disse un giorno ai suoi fratelli: “Io vi darò un segno chiaro della mia divina missione: farò emergere un toro dalle onde del mare.” Così infatti avvenne e Minosse ottenne il regno dell'isola senza colpo ferire, ma commise un errore, perché non ebbe il coraggio di sacrificare a Poseidone, come avrebbe dovuto, il bellissimo toro uscito dal mare. Per questo motivo ebbero inizio i suoi guai.
Il resto della storia è famoso e piuttosto raccapricciante: Pasife, la moglie di Minosse, concepisce una violenta passione per il toro venuto dal mare, ma non sa come fare ad accoppiarsi con lui; Dedalo l'aiuta fabbricando per lei una vacca di legno perfettamente identica a un animale vero, ma internamente vuota; la regina s'introduce nel marchingegno e il toro si unisce a lei e la feconda; dall'unione fuori natura nasce una creatura mostruosa, il Minotauro, che dai piedi alle spalle è uomo ed è toro nel collo e nella testa. Inorridito, Minosse chiede a Dedalo di costruire una prigione inaccessibile in cui rinchiudere il mostro, allora Dedalo inventa il Labirinto, un palazzo grandissimo, edificato su vari livelli e costituito da un intreccio fittissimo e inestricabile di stanze e corridoi immersi nella più tetra oscurità. Tuttavia, Minosse, non è ancora contento e per vendetta contro gli ateniesi, che nel frattempo gli hanno ucciso il figlio Androgeo, soggioga Atene con una guerra-lampo e le impone di inviare a Creta, ogni anno, un tributo di sette giovani maschi e sette femmine da offrire in sacrificio al Minotauro. Da Atene parte allora l'eroe Teseo, deciso a stroncare il mostro di Creta, ma giunto sull'isola conosce Arianna, figlia di Minosse, la quale di lui s'innamora e si rivolge a Dedalo per aiutare l'eroe a trovare il modo di orientarsi nel Labirinto. Dedalo le fornisce il fatidico gomitolo di filo e il resto della storia è ben noto…
Fin qui dunque il mito, i cui sviluppi, intrecci e particolari sarebbero talmente lunghi e complessi da narrare che un libro intero non basterebbe ad esaurirli tutti. Quel che qui ci preme osservare, invece, è come la figura di Dedalo, con la sua ingegnosità e la sua astuzia, sia sempre risolutiva in tutte le varie fasi del mito greco-cretese. Il suo capolavoro, il Labirinto, fa di lui il simbolo e il padre di tutti gli architetti e gli ingegneri del mondo ed è proprio sul Labirinto che converrà spendere alcune parole in più, perché è di estremo interesse a questo punto confrontare i dati della storia e del mito con quelli attualmente deducibili dalla realtà concreta del complesso archeologico di Cnosso.
La visita del più celebre dei palazzi minoici, situato su un'area di due ettari a cinque chilometri di distanza da Iraklion, capitale di Creta, può dare all'inizio non poche delusioni. Saltano agli occhi immediatamente le deliranti colonne di cemento intonacate di rosso e di nero, che Evans volle erigere per imitare le antiche colonne di legno di cipresso, che secondo lui reggevano le volte del palazzo, e per stupire i visitatori delle rovine con suggestivi “effetti speciali”. Com'è noto, l'archeologo inglese condusse gli scavi con l'ossessione della fretta, una sorta di ansia da prestazione (doveva opporre il suo genio britannico a quello germanico di Schliemann, scopritore di Troia e di Micene), che lo indusse a trascurare le più elementari regole della paziente indagine stratigrafica e a sognare di ridare un volto ben visibile al palazzo di Minosse, anche a costo di reinventarlo di sana pianta, dando corpo e colore materiali a una realtà virtuale quasi totalmente immaginaria.
In secondo luogo, si rimane perplessi nel confrontare la morfologia del complesso palaziale con gli elementi del mito. Infatti, ci si chiede: il famoso labirinto, dov'è? Dove poteva essere? Il palazzo di Cnosso appare, come ben rilevano anche tutte le sue minuziose descrizioni, come un complesso centro di potere, al tempo stesso amministrativo e commerciale: cortili e sale di riunioni, abitazioni e locali di rappresentanza, magazzini, botteghe, laboratori, e ovunque disseminate le enormi giare dette “pithoi”, che contenevano olio, vino, grano e altre derrate alimentari. Il tutto lascia pensare più a una piccola città protetta da possenti mura che a un vero palazzo come noi oggi l'intendiamo. Perché mai gli storici si ostinano a definire “labirinto” queste pur grandiose e intricate e difficilmente decifrabili rovine, se di una vera struttura labirintica non esiste una traccia reale? La risposta ci viene dal fatto che, come testimoniano i numerosi reperti visibili nello splendido Museo archeologico di Iraklion, la parola “labirinto” sembra derivare dalla stessa radice consonantica della parola “labrys”, che in greco è il nome dell'ascia bipenne, cioè proprio dell'oggetto simbolico che sotto varie forme è emerso con maggiore frequenza negli scavi di Cnosso. In altre parole, “labirinto” non sarebbe altro che il nome dato al palazzo consacrato al simbolo dell'ascia bipenne: il “Palazzo del Labrys”.
A questo punto le cose cominciano a chiarirsi, ma la figura di Dedalo rischia di perdersi davvero nelle nebbie della mitologia: esiste una relazione tra il “suo” labirinto e quello, verosimilmente storico, di cui abbiamo appena finito di parlare? La risposta a questo interrogativo ci riporta al mito e ce ne offre una possibilità di interpretazione assai interessante. Se noi osserviamo bene la forma del “labrys” ci rendiamo conto facilmente che essa presenta le figure speculari di due paia di corna o di due falci lunari, rivolta l'una verso il basso e l'altra verso l'alto. Questo perché il “labrys”, in realtà, altro non era che un simbolo di potere legato alle virtù magiche della divinità lunare, venerata in tutte le culture mediorientali e mediterranee sotto le sembianze del toro (come il toro lunare Enlil a Babilonia). Questo è fondamentale per la comprensione delle civiltà fiorite in seguito alla rivoluzione economica dell'età neolitica, essendo evidente la connessione tra la scoperta dell'agricoltura e l'importanza attribuita alle influenze astrali, della luna e del sole in primo luogo, nei cicli generativi della vegetazione. Inoltre, possiamo anche supporre con ragionevolezza che il “labrys” fosse proprio l'arma utilizzata nel sacrificio rituale del toro, così come appare nel mito di Teseo e in quello analogo di Eracle, giunto a Creta dall'Argolide per compiere la sua settima fatica, ovvero domare lo stesso toro che Poseidone aveva donato a Minosse e che in seguito s'era accoppiato con Pasife per generare il Minotauro!
In questo modo, forse un po' tortuoso e… labirintico, scopriamo alla fine che tra il Palazzo del Labrys, fondatamente storico, e il Labirinto costruito da Dedalo nei racconti della mitologia, non esiste in realtà una vera contraddizione, né tantomeno un'assoluta incompatibilità. Il mito deve avere sicuramente “sceneggiato” a modo proprio una realtà storica ancestrale e una perduta tradizione rituale, consegnandoci la vicenda di Dedalo e della sua meravigliosa invenzione nelle forme affascinanti di una favola impregnata di significati autentici e di profonda verità.

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