comportamento e, soprattutto, negli interventi di coloro che sono chiamati a vigilare sulla collettività. Accade, così, che i tutori dell’ordine vengano privati, a causa di questa miopia politica, di quei poteri preventivi ed anche repressivi (quando servono) e siano costretti a limitare il loro raggio di azione sottoponendosi ad accademiche compilazioni di verbali e rischiando procedimenti disciplinari se qualcuno di essi si lascia trascinare da una disinvoltura eccessiva al momento dell’intervento.
     In questo modo, le situazioni ordinarie si sovrappongono e si confondono con quelle straordinarie e si crea un complicato intreccio che non pone distinzione tra la bravata, seppur censurabile, e il vero atto criminale. La moltitudine, intimorita da questa burocrazia da strada, preferisce allora evitare di essere coinvolta per non aver problemi e per non essere costretta ad esporsi o a metterci la faccia. Succede a tutte le latitudini, nei contesti più degradati e in quelli altolocati, nei quartieri del degrado come nelle tranquille zone residenziali, nessuno è veramente immune da questo contagio. Nessuno vede e nessuno sente, ma talvolta qualche anima pia avverte il senso di responsabilità e di coesione e decide di farsi parte attiva nel segnalare anomalie, movimenti inconsueti o situazioni di pericolo.
     La tragedia di Milano appare grottesca se si pensa che chiunque avrebbe potuto incrociare il percorso del folle per una fortuita casualità, ma nella ammalorata società dell’era contemporanea anche i più banali ed inoffensivi gesti quotidiani rischiano di innescare reazioni a catena incontrollate con effetti talvolta estremi: basta magari chiedere qualcosa a qualcuno nel modo sbagliato oppure è sufficiente che venga equivocato uno sguardo, basta suonare un clacson o rispondere ad un gesto o a una provocazione oppure semplicemente avere la sfortuna di trovare sulla propria strada uno sbandato.
     Senza avventurarsi in analisi di sociologia spiccia, basti osservare come sono sempre più penetranti e devastanti le campagne mediatiche e sociali che, facendo leva sull’enfatizzazione dell’evento, finiscono per alimentare una vera e propria cultura dell’odio e della paura.
     La stranezza sta nel fatto che, nell’evidenza di questi fatti dirompenti, si genera un curioso paradosso che a maggior ragione deve far pensare. In una società dove è diventata regola il rimpallo delle responsabilità, dove la mancanza di adeguate risorse non consente di approntare una soddisfacente sorveglianza del territorio, dove le alte sfere istituzionali fanno a gara per stigmatizzare comportamenti collettivi, dove regna sovrana l’ipocrisia sociale e dove la politica

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