da demolire, abbattere senza rimorsi, quanto meno discutere, mentre perfino un ateo, davanti alle bellezze artistiche “collettive e sociali” del passato, non può che riconoscere e ringraziare “laicamente” chi ci ha tramandato tale grandezza.
     Qualche “cortocircuito” nel passaggio tra l’epoca moderna e quella contemporanea c’è stato, non c’è dubbio. Anche se almeno nell’ambito dell’architettura e arte sacra la strada giusta pare essere di nuovo intrapresa, vedi per esempio per rimanere in ambito provinciale, la chiesa all’Ospedale nuovo, moderna bianca e con opere d’arte contemporanea pensate al suo interno, Gianfranco Ravasi, dal 2007 presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, fine intellettuale, ha capito che la frattura tra la società contemporanea


e la chiesa andava ricomposta anche attraverso il dialogo con le arti contemporanee.
     Il tema è complesso, ne convengo, non sono un conservatore, anzi, ma un certo progressismo di facciata mi disturba e a volte appare più vuoto pressapochismo spiccio che progresso intellettuale e artistico vero e proprio.
     Entrando in un ambito più generale, certa edilizia contemporanea o quartieri moderni, frutto dell’incapacità di comprendere a fondo il razionalismo e le lezioni di “Le Courbusier”, fanno rimpiangere certi colorati e coloriti borghi “spontanei” costruiti da rozzi e ignoranti (o presunti tali) pescatori o signorotti locali, che si attenevano ad una buona tradizione collettiva e popolare: vedi i numerosi casi di
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