LA RIBELLIONE DELLE MASSE
                                 di Josè Ortega y Gasset
     È il 1930 che vede nascere quest'opera, un anno difficile visto da noi posteri, a cavallo tra le due guerre ed intriso di movimenti nazionalistico dittatoriali in fase ascendente. Nella Spagna di Ortega il dittatore Primo de Riveira era ancora al potere e per avvicinare lo sguardo a quest'opera è fondamentale inserirsi in quel contesto storico sociale, sebbene molte delle nostre comuni credenze ed aspettative vengano disattese una dopo l'altra.
     Opera difficilmente classificabile dal punto di vista stilistico, essa risulta attuale per la maggior parte della tematiche, che spesso lasciano intendere un messaggio politico latente, nonostante questo non sia l'intento di Ortega. Più volte l'autore precisa che non si tratta di politica ma di un'attenta analisi sociale, della capacità di comunicare un disagio insito nell'Europa Moderna, veloce nella crescita demografica, ma scossa dalla guerra mondiale da poco finita.
     Prima fase di cambiamento sociale è l'agglomeramento, processo cominciato con la rivoluzione industriale, che ha determinato la nascita delle metropoli. I servizi rispetto alla popolazione effettiva sono scarsi, causando disagi e "mancanza di posto". Si può vedere raggruppata una moltitudine di persone che visivamente e socialmente determinano la massa. Ortega contrappone a quest'ultima la classe degli intellettuali o meglio della minoranza eletta. Questi termini che sembrano classisti e poco corretti sono in realtà nomi per definire diverse tipologie di vita, basandole non tanto sul metro economico, quanto sulla filosofia che viene applicata al modo di vivere di ognuna. Capita infatti che molti tra i meno abbienti siano volenterosi e caparbi, mentre tra i ricchi siano maggiori invece i mediocri e i petulanti. Il problema giace nel fatto che la massa, composta da mediocri e volgari, avanza, soffocando i diritti delle minoranze, ma soprattutto imponendo come canone la volgarità stessa. La "massa" si identifica così con tutto il mondo, rafforzata dal valore numerico dei propri componenti e da un'incapacità sostanziale nell'autocritica. La spinta effettuata dalle pressioni materiali o da necessità più o meno primarie determina una iperdemocrazia in cui paiono avere peso addirittura anche le più becere critiche rivolte ad uno studioso e dove voci poco autorevoli riescono a guidare enormi gruppi. Un esempio lampante contemporaneo sono i talk-show popolari, nei quali possono partecipare dei sapienti, i quali potrebbe vedersi tranquillamente umiliati da commenti poco radicati e soprattutto di spessore inesistente. Sarebbe l'ennesima dimostrazione di uno scacco alle minoranze, alle diversità, alla parte oscura della società. Il periodo storico è di livello sicuramente ascendente quando le masse acquisiscono una potenzialità derivante dalla democratizzazione del lusso e della tecnica, ma ne consegue una riduzione del potere sovrastante. Questo perché dettato da inconsapevolezza concreta, dal momento che la massa è sempre stata sovrana inconsapevolmente quindi continuava ad esistere con rispetto per le istituzioni dominanti. La fine di ciò inizia con il declino dell'aristocrazia, con l'acquisizione della sovranità individuale in maniera reale più che psicologica. L'impero romano si sfaldò anche per questo motivo.

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