LA "Ypsilon" DELLA MORATTI
                                              di Silvia Ferrari

     Il Ministro della Pubblica Istruzione Moratti, croce di molti e delizia di pochi tra gli studenti italiani, ce l'ha fatta; è riuscita, pur tra mille critiche, proteste e dissensi, gran parte dei quali provenienti dal mondo universitario, a varare la sua riforma scolastica, che investe in toto gli anni di formazione, dalla scuola elementare all'università. Essendo io studentessa universitaria e vivendo dall'interno i primi traballanti passi della nuova macchina dell'istruzione, ho condotto una piccola indagine tra i miei coetanei iscritti a diverse Facoltà lombarde, per capire come questa riforma sia percepita da chi, in ultima analisi, ne è investito direttamente.
     Ufficialmente, la riforma dell'università è stata creata per rispondere "alle esigenze di una società in sempre più rapida trasformazione", per dirla con le parole del Ministro; in pratica, le modifiche all'ordinamento didattico sono state ideate per rendere il sistema più flessibile e integrato al mondo del lavoro, allargando così il ventaglio di opzioni per eventuali sbocchi professionali. Posti questi lusinghieri obiettivi, vediamo ora come si articolerà il nuovo sistema universitario.
     Fondamentalmente, la differenza saliente sarà l'ulteriore divisione del percorso di laurea triennale in due tronconi, secondo un modello a "Y"; al termine di un primo anno strutturato secondo il diktat della massima uniformità di insegnamento, con discipline in comune, lo studente potrà scegliere tra un percorso professionalizzante (1+2) diretto al completamento della laurea triennale e un percorso metodologico per coloro che intendono proseguire, dopo la mini-laurea triennale, con il biennio di specializzazione. Durante il triennio, dopo il primo anno di insegnamenti comuni, lo studente potrà frequentare attività di tirocinio e partecipare a stages finalizzati ad un inserimento rapido nel mondo del lavoro, nel caso abbia scelto l'opzione del percorso "professionalizzante"; nel caso in cui, al contrario, lo studente abbia deciso di intraprendere la strada del biennio metodologico, le discipline dell'area di interesse manterranno un carattere di preparazione di base, utile per il proseguimento degli studi. Formalmente, il titolo conseguito al termine del triennio è identico a quello di un attuale laureato del vecchio ordinamento (5 anni): il neolaureato potrà fregiarsi del titolo di "dottore". Chi, invece, proseguirà con il biennio specialistico, sarà "dottore magistrale", se in possesso di una laurea magistrale, o "dottore di ricerca" nel caso abbia frequentato un dottorato di ricerca.
     La Moratti crede molto nella possibilità di realizzare "passerelle" tra le Facoltà; ovvero, esemplificando, al termine del triennio di studi scientifici, lo studente può scegliere di frequentare un biennio umanistico e viceversa, ovviamente previa verifica delle eventuali lacune nella preparazione specifica da parte degli atenei. Francamente, questa ottimistica visione della libertà intellettiva accordata a noi studenti mi lascia un po' perplessa: dubito che al termine di una vita di studi improntati alle materie umanistiche sceglierei di cambiare radicalmente ambito, rischiando così di sapere un po' di tutto, male. Sceglierei, ovviamente, di specializzarmi nel mio campo.

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