Gli studenti a cui ho chiesto di esprimere un parere su questa riforma sono pressoché concordi nel ritenerla un buco nell'acqua; le aspirazioni d'oltreoceano del Ministro non sono sfuggite alla maggior parte di loro, che ritengono l'assimilazione dell'università italiana al modello americano irrealizzabili per la struttura stessa del sistema in Italia. Secondo Roberto, studente di Filosofia, l'anelito filoamericano della riforma ha gettato nella più completa confusione docenti e studenti; bienni specialistici non attivati, insegnanti costretti a modificare tematiche e metodologie d'esame in itinere, per tentare di adeguare i vecchi programmi alla nuova struttura a crediti. Aggiunge Roberto: "da noi le cose vengono fatte a metà. Privatizziamo tutto come in America puntando all'eccellenza, all'efficienza, al contatto diretto col mondo del lavoro, introduciamo sponsorizzazioni e altri introiti nell'università, accresciamo la ricerca operando a stretto contatto con grandi aziende che ci finanzino? Al di là degli enormi pregi e degli altrettanto enormi difetti di uno sviluppo in questa direzione, ovviamente no, in Italia non si può fare senza scatenare il finimondo. La strada opposta, massima democraticità/gratuità/"idealizzazione" del sapere universitario? Altrettanto improponibile per identici motivi."
     Il punto, a mio parere, è che non si può pretendere di modificare la struttura profonda del sistema universitario italiano prescindendo dalla sua tradizione; ovvio che, poi, l'applicazione del moderno sistema a "Y" verrà effettuata adattando alla meglio quello attuale, ottenendo il risultato di una creatura ibrida e raffazzonata, il cui nome altisonante celerà contenuti e pecche di sempre. Tendere al potenziamento delle possibilità di lavoro per i neo laureati è certamente un obiettivo lodevole, ma non può essere realizzato unilateralmente; le aziende e la società devono compenetrare questo sforzo, tendendo una mano alle nuove leve. Concetto che, palesemente, non appartiene alla mentalità della realtà produttiva italiana.
     Gaia, studentessa del vecchio ordinamento, pone l'accento sulla differenza tra studenti italiani, europei e americani, focalizzando lo squilibrio tra società e studenti "all'italiana" e modelli organizzativi esteri, incompatibili senza una profonda modifica della concezione stessa di "studio".
     Paolo, quasi al termine dei fatidici tre anni di corso in Ingegneria Gestionale, considera la riforma come "una riorganizzazione delle idee, per calibrare, alla luce di quanto visto in questi anni di prova, il sistema già in essere". Secondo Paolo gli studenti non si accorgeranno chiaramente della differente impostazione del percorso di studi, eccezion fatta per il primo anno di base, che fungerà quasi da "anno sabbatico" per decidere, con maggiore tranquillità, le direzioni formative future.
     Dopo questo piccolo sondaggio, è chiaro che, in linea di massima, tra gli studenti regni lo sconforto; nessuno pare riporre molta fiducia in una radicale inversione di tendenza in positivo nel panorama universitario. A questo punto, pare proprio che Roberto abbia ragione; nel glorioso microcosmo universitario italiano, come nel "Gattopardo", "è necessario che tutto cambi affinché tutto resti come prima".
     Grazie, Ministro.

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