inaugurando una serie di partecipazioni alla gara più massacrante tra quelle enduristiche, la famigerata Parigi-Dakar. Cosa ti ha spinto a intraprendere un'avventura così rischiosa? "
Fondamentalmente per curiosità; questa gara mi ha sempre affascinato per l'ambiente in cui si svolge, così ho voluto parteciparvi".
Ogni anno, purtroppo, la Dakar richiede il suo tributo in vite umane: quest'anno è toccato a Fabrizio Meoni, un grandissimo delle due ruote italiane, alla sua ultima partecipazione alla competizione africana. Una fatalità lo ha portato a perdere il controllo della moto, provocando una caduta che ha avuto, come ben sappiamo, conseguenze letali. Nonostante il progresso tecnologico e l'adozione di sistemi satellitari come il GPS o i rilevatori di posizione, queste disgrazie non cessano: ha ancora un senso disputare gare così pericolose secondo te? "Correre è pericoloso in sé" ci risponde facendosi serio "Non è una novità. Certo, nelle corse si sa che ci si deve impegnare per arrivare primi, per vincere; i rischi ci sono, ma non sono molti di più di quelli che si affrontano nel normale traffico stradale, che pure provoca molte morti, soprattutto tra i motociclisti."
Cos'è cambiato tra la Dakar di oggi e le edizioni di qualche anno fa? "Sicuramente ora c'è più tecnologia. Non è un'evoluzione necessariamente positiva, ma per molti versi è utile; comunque è l'inevitabile progresso delle cose. Oltre all'utilizzo di questi nuovi apparecchi, per rendere veramente più