Recentemente sul quotidiano locale sono stati pubblicati, oltre ai consueti e remunerativi necrologi che alimentano i forzieri della tesoreria editoriale, interessanti quanto suggestivi articoli dedicati al fenomeno dell'immigrazione extracomunitaria. Il reportage dedicava particolare rilievo all'incessante flusso migratorio di cittadini sudamericani i quali, sollecitati dalla storica presenza di missionari ed operatori umanitari bergamaschi nelle lontane terre d'oltreoceano, secondo quanto riferito sulle pagine del giornale, hanno eletto Bergamo quale meta ambita ed agognata nell'opulento Eldorado europeo. Questo paradiso, ormai fittizio ed ingannevole per la nostrana moltitudine, oppressa da balzelli, dal costo della vita, da un'economia stritolata da crisi congiunturali e strutturali, continua evidentemente ad essere percepito come un Eden che riesce ancora ad esercitare fascino e ad attrarre masse di stranieri alle prese con un costante stato di precarietà o, comunque, lontane da un progetto di vita decoroso.
Sorvolando sulle aspettative di questi moderni "peones" del ventunesimo secolo, o del più musicale ed esotico terzo millennio, che per cultura e mentalità riescono ancora ad eccitarsi festosamente per un nulla, vale la pena rammentare che maestranze, sindacati, imprenditori, cittadini, Comune, Prefettura, Questura e via discorrendo sembrano ignorare il dilatarsi a macchia d'olio di un fenomeno in crescita esponenziale che, a lungo andare, rischia seriamente di trasformare irreversibilmente Bergamo in una succursale, in parte meticcia. Insomma, come al solito si assiste da una parte alla scaduta retorica politica e alla contraddittorietà delle decisioni assunte sui colli di Roma da onorevoli e senatori che sventolano lo stendardo della Bossi-Fini come panacea di tutti i mali e come vessillo della lotta alla clandestinità e dall'altra all'atteggiamento più edulcorato e meno giustizialista delle amministrazioni locali che, oppresse dall'inesorabile forbice dei tagli perpetrati dalla temuta finanziaria, preferiscono raccattar risorse in vario modo privilegiando l'operato dei loro "esattori" (lascio all'intuito del lettore individuarne i soggetti) piuttosto che dare attuazione a precetti normativi ineludibili ed non altrimenti interpretabili.
La verità sta nel fatto che, da molto tempo, il nostro Paese è pervaso da un buonismo assai ipocrita, forse figlio, chi lo sa, di una lenta espiazione di colpe storiche che sembrano ricadere sulla collettività come un velo impercettibile, che genera, nella popolazione, sensazioni e reazioni antitetiche e che,