Mi ha raccontato anche dei suoi giochi, molto vicini ai nostri, la roulette, le cartine, "su baddarincu" (il dado ballerino), "sa meccanica" (il correre con il cerchio), "giogai a fa'" (le fave in un cerchio, nascoste in un mucchio di polvere che dovevano essere colpite con delle pietre piatte - noi usavamo le biglie di terracotta...) e lui stesso me ne descrive alcuni così:
"Sa bardunfula - Il gioco della trottola"
Si giocava con trottole di legno duro, a forma di pera rovesciata, recante al posto del picciolo una punta metallica acuminata e dalla parte opposta un rilievo cilindrico di un centimetro di diametro. La superficie della trottola presentava una scolpitura di anelli scavati di ampiezza digradante verso la punta, destinati ad alloggiare le spire di una cordicella, che si avvolgeva intorno al giocattolo dalla punta verso la metà o poco più dello stesso, mentre l'altro suo capo veniva trattenuto tra mignolo e anulare della mano, che bloccava il tutto tra le punte di pollice e indice, in corrispondenza rispettivamente di punta e rilievo cilindrico opposto. Lanciata al suolo con violento contemporaneo strattone della cordicella trattenuta dalla mano, la trottola toccava terra con qualche sobbalzo e si metteva a girare sulla sua punta, descrivendo ampie evoluzioni per la durata di una decina di secondi.
Si poteva fare con questo giocattolo un gioco con più partecipanti. Si tracciava sul terreno un triangolo equilatero di circa 15 cm. di lato, dentro il quale ogni giocatore a turno doveva far atterrare la sua trottola dalla parte della punta. Se non vi riusciva al primo tentativo, in forza della formula ritualmente pronunciata "sa prima est de terra" (la prima appartiene alla Terra), aveva diritto ad un secondo tentativo. Fallito anche questo, pronunciando la formula "sa segunda est de cielu" guadagnava il diritto ad un ultimo tentativo. Fallito sciaguratamente anche questo, per via della norma inoppugnabile "sa terza est de poni" (la terza è di mettere"), il maldestro trottolista metteva il proprio arnese all'interno del triangolo, esponendolo al chiodo della trottola del successivo giocatore, che mirava non solo ad azzeccare il triangolo, ma possibilmente a spaccare o a danneggiare in qualche modo la trottola o le trottole che si trovavano al suo interno.
Alcune tecniche di lancio avevano definizioni specifiche, quali "tirai a coddu grutzu" o "tirai a straccia codredda": la prima indicava un lancio non violento ma di precisione, realizzato con un controllato movimento della spalla, avendo di mira soltanto quella di centrare il triangolo vuoto; la seconda indicava un lancio violento, che accompagnava il getto della trottola con un coordinato strappo indietro vigoroso della cordicella, puntando a colpire le trottole del triangolo. Le due espressioni si traducono: tirare a spalla corta e tirare con strappo della cordicella.