Se idealmente si tracciasse una cartina geografica della criminalità che assedia Bergamo e ancor di più la popolosa e ricca provincia (meno monitorata e più esposta), si può chiaramente evidenziare come determinate aree siano quasi di esclusivo dominio e controllo di sodalizi malavitosi nostrani e stranieri appartenenti a varie etnìe.
     Essi controllano la prostituzione, gestiscono il traffico di sostanze stupefacenti che inglobano ulteriori gruppi diversificati a secondo delle esigenze del mercato (eroina, cocaina, cannabis etc.), si rivolgono ai furti su ampia scala e si dedicano ad azioni più "teatrali" come lo sradicamento forzato di bancomat o l'utilizzo di auto ariete con tutto l'ampio corollario di azioni western. Se poi a questo si aggiunge il dilagare della microcriminalità, i cui autori agiscono autonomamente e spesso senza un preciso obiettivo, si può comprendere come, ad oggi, si avverta una percezione di palese insicurezza che si espande a macchia d'olio. L'amministrazione cittadina non mi pare che abbia avviato, a tal riguardo, un serio e coordinato programma di controllo del territorio che prevenga l'insorgere di fatti penalmente rilevanti né, tantomeno, stando a quanto quotidianamente si apprende dai giornali locali, sembra preparata a contrastare gli episodi criminali che si verificano con sempre crescente sistematicità.
     Eppure, anche se parrà lapalissiano affermarlo, basterebbe, per reprimere i delitti senza per forza ricorrere o invocare rimedi draconiani, un controllo più mirato del territorio che coinvolga maggior personale adeguatamente addestrato ed un maggiore supporto da parte dell'amministrazione all'operato delle forze dell'ordine. Purtroppo, però, gli interventi di polizia, laddove si dimostrino poco ortodossi per necessità o per impossibilità di agire diversamente, si scontrano spesso con l'anima apparentemente candida, pura e partigiana dell'italiano medio, che, chissà per quale oscuro motivo psicogenetico, preferisce acriticamente, ma colpevolmente, mostrare il lato catechistico della comprensione parrocchiale per giustificare il reo di turno. Insomma, si stigmatizza, come spesso accade, ciò che invece dovrebbe essere giustificato qualora sia finalizzato a tutelare la collettività.
     Personalmente considero questo atteggiamento fariseo del singolo un atto di violenza e di arbitrio nei confronti di coloro che, invece, reclamano legittimamente la tutela. È necessario che esponenti politici e amministratori comprendano questo elementare principio, prescindendo da strumentali valutazioni morali, allo scopo di garantire alla popolazione l'indiscutibile diritto alla sicurezza. Va bene, quindi, discorrere di importanti tematiche sociali e di crescita economica ma non si deve dimenticare che la società evolve nella misura in cui le risposte da parte delle istituzioni si rivolgano alla difesa dei diritti del singolo e al contrasto dei reati.

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