Complessi i preparativi per ogni velivolo: sono biplano anziani, vanno accompagnati manualmente in ogni punto della pista che non sia il luogo di decollo e vanno anche avviati a mano. Circolavano strani codici linguistici fra piloti e meccanici: “rilascia”, “libero”, “via”; servivano ad evitare che le pale dell’elica, girate a mano con un colpo secco per effettuare l’accensione, potessero partire improvvisamente travolgendo il meccanico. Vi è mai capitato di dover spingere il motorino o l’auto con la marcia inserita al fine di farli partire? Ecco, questi aerei si avviano allo stesso modo, ma siamo nell’ordine di motori a 6 cilindri.
     I loro voli sono stati affascinanti, perché ci sono passati sopra al capo a bassa quota, hanno anche disegnato in cielo il tricolore (Foto 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7), ma l’emozione più intensa emergeva dalla storia che inevitabilmente c’era dentro a quei pezzi di lamiera leggerissima e delicata, una storia fatta di voli di ricognizione, di missioni, di bombe sganciate, di lotte in volo contro altri aerei nemici, di fabbriche di migliaia di lavoratori che assemblavano le armi volanti e anche di morti, come ogni guerra partorisce. Poi, loro, i piloti, gli stessi di allora; dalle foto si intuisce chiaramente che non sono di primo pelo. L’emozione che c’era nei loro occhi, dopo aver volato di nuovo con quegli aerei, dopo magari vent’anni che non accadeva, purtroppo non era fotografabile. Forse solo la televisione locale ha potuto svolgere questo compito. È stato così bello che i voli sono continuati fino alle 13:00, quando il programma invece prevedeva una sola ora; se i piloti non fossero stati richiamati per quanto avrebbero volato ancora???

     Siamo passati dunque alla sala riunioni, dove degli interlocutori hanno accennato alla storia degli aerei visti in volo, hanno parlato del museo ed hanno anticipato la presentazione dei progetti futuri in merito, come la ricostruzione
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