La Festa della Donna è passata da un mese, ma quest’anno i cioccolatini hanno avuto un retrogusto amaro. Secondo i risultati di due ricerche, infatti, le Bergamasche hanno poco da festeggiare: nel mondo del lavoro faticano ad arrivare in alto e sono meno tutelate dei loro colleghi uomini. La prima indagine è quella svolta dall’ANMIL (Associazione nazionale mutilati ed invalidi sul lavoro) allo scopo di “far riflettere sulla condizione delle donne che lavorano”. Le analisi disegnano una situazione preoccupante: gli infortuni femminili sul lavoro sono in crescita, così come il numero d’incidenti mortali che hanno per vittima una donna. Ciò è dovuto all’aumento dell’occupazione femminile e all’impiego delle donne in settori finora destinati agli uomini e che prevedono un alto rischio d’infortuni, come il settore metalmeccanico.
Il più grave dato evidenziato è la reale discriminazione delle donne nell’indennizzo del danno sul lavoro. Secondo il decreto ministeriale del 12 luglio 2000, concernente “il danno biologico ai fini della tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie”, la retribuzione dell’indennizzo dipende dall’attività lavorativa e dal “patrimonio bio-attitudinale-professionale”. Dietro quest’etichetta si nasconde il fatto che il sesso della vittima, insieme ad altri fattori quali l’età e la cultura, incide sull’indennizzo: in altre parole, le donne subiscono una diminuzione delle rendite e degli indennizzi.
Questo fatto, già di per sé improponibile, è ulteriormente aggravato dalla tabella delle menomazioni, allegata al decreto: essa non fa differenza tra uomini e donne nella valutazione dei danni fisici, che invece hanno conseguenze diverse a seconda dei sessi.
Citiamo due degli esempi fatti dal rapporto dell’ANMIL: una cicatrice deturpante sul viso e sul corpo ha conseguenze psicologiche più gravi in una donna, anche a causa dei canoni di bellezza imposti dalla società, invece nella tabella non si fa differenza tra maschi e femmine, e vale fino a 30 punti su 100 per entrambi. Il caso più clamoroso è quello dell’asportazione della mammella: ovviamente questo tipo d’intervento ha conseguenze fisiche e psicologiche più gravi in una donna, eppure viene valutata massimo 10 punti su 100, come per l’uomo, per il quale l’intervento non può essere così devastante. Guardando i numeri, la situazione non conforta. Gli infortuni femminili sono in aumento: nel 2005 erano aumentati dello 0,6% contro la diminuzione maschile del 3,9%. |