In realtà, la spedizione dei Mille aveva come obiettivo finale non Napoli, bensì Roma, ma era stata fermata dall’esercito borbonico a Gaeta. Inoltre, Napoleone III aveva posto Roma sotto la sua protezione e questo mise in grave imbarazzo il governo italiano che vedeva il generale marciare diretto sulla capitale, contando sul proprio prestigio per arrivarci indisturbato. Fu quindi fermato sulle montagne dell’Aspromonte dove i bersaglieri, aprendo il fuoco, lo ferirono ad una gamba ed al piede (narra l’episodio una famosa canzoncina popolare). Nel 1862 tentò un’altra conquista di Roma, ma fu sconfitto dalle truppe del Papa e dai rinforzi inviati da Napoleone III alla battaglia di Mentana.
     Scoppiò la Terza Guerra d’Indipendenza dell’Italia e i Cacciatori delle Alpi, sempre sotto il comando di Garibaldi, organizzarono un’operazione strategica da compiersi fra le Prealpi di Brescia e il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, per bloccare la via agli austriaci fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Ciò avrebbe lasciato ai nemici la sola via del Tarvisio per gli approvvigionamenti e le uniche fortezze rimaste sarebbero state quelle di Mantova ed Udine. L’operazione iniziò brillantemente, ma fu fermata dall’armistizio di Cormons, dove Garibaldi ricevette dal Re l’ordine di abbandonare il territorio occupato: egli rispose telegraficamente “Obbedisco”, parola che sarebbe diventata il motto del Risorgimento Italiano e simbolo della disciplina e dedizione militare di Garibaldi.
     Nel 1880 sposò la piemontese Francesca Armosino, donna di umili origini, sua compagna da oltre 14 anni, dalla quale ebbe tre figli di cui una, Rosita, morta da piccola. L’ultima campagna da lui intrapresa fu esclusivamente politica, in quanto Garibaldi utilizzò la sua immensa popolarità, data dalle incredibili vittorie ottenute in ogni parte del mondo, e il suo prestigio di Generale retto e generoso, per l’allargamento a tutti del diritto al voto politico. Morì a Caprera il 2 giugno 1882.
     Nel testamento, una copia del quale si trova oggi esposta nella sua casa a Caprera, egli chiedeva espressamente la cremazione delle proprie spoglie: il suo corpo, vestito con la camicia rossa, avrebbe dovuto essere bruciato su “una catasta di legno di due metri, con legni di agaccio, lentisco, mirto ed altra legna aromatica”. Il suo ultimo desiderio però fu disatteso dalla famiglia, pare su consiglio di Francesco Crispi, e Garibaldi fu imbalsamato e rinchiuso in un sepolcro a Caprera, sovrastato da un enorme pietra grezza bianca. Questo suo desiderio di cremazione e l’astio verso la sepoltura cristiana era giustificato dal suo feroce odio verso il Papato e il clero, in particolare verso il Papa Pio IX: non a caso Garibaldi chiamò il proprio asino, in segno di scherno verso l’illustre

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Biografia, Giuseppe, Garibaldi, Storia, Cormons, Tarvizio, 1880, Francesca, Armosino, Francesco, Crispi