Le colpe di tutto ciò a mio avviso sono molte e diverse: innanzitutto la scuola, che informa ed educa solo parzialmente, sviluppando i programmi che si occupano di Novecento solo alla fine del corso degli studi; i mezzi di informazione di massa che raramente si occupano di arte contemporanea e se si, lo fanno male; il sistema dei Musei italiani troppo fermi al passato che danno poco spazio alle avanguardie artistiche del secondo Novecento non rappresentando l’epoca che viviamo ed infine la classe intellettuale italiana, troppo mediocre e incapace di fare “sistema” e comunque sempre “interessata” al mercato. Tutto ciò genera ignoranza, scetticismo, superficialità.
Le scelte degli assessori alla cultura di tutte le nostre città (Bergamo non fa eccezione) parlano da sole, politici che provengono da altri settori ed esperienze e che difficilmente si circondano di consulenti capaci, salvo rare eccezioni, si devono occupare della politica culturale di una città (o di una nazione). È chiaro che non tutta l’arte contemporanea è interessante e ogni scelta artistica contemporanea deve tenere conto di quanto avvenuto nel passato, per capire Picasso devi conoscere Cézanne, per capire Cézanne devi conoscere Manet, per capire Manet devi conoscere Corot… ecc. ecc… Non so se mi spiego, l’artista contemporaneo non fa altro che mettere un mattone sopra un muro che altri prima di lui hanno eretto e non tutti gli artisti contemporanei mettono mattoni significativi. È stupido e fuorviante considerare l’arte contemporanea una specie di nemico o di corpo estraneo all’arte, ne fa parte e ne rappresenta la punta più avanza ed evoluta piuttosto.
Nel 1949 un giornalista della rivista Life chiese a Jackson Pollock (1912-1956) maestro americano dell’Action Painting, quale fosse la differenza tra lui e Piero della Francesca (1420-1492). Egli rispose: “Nessuna! Lui rappresentava la società del quattrocento con la scoperta della prospettiva e della città utopica (ideale), io rappresento le onde radio, la bomba atomica, rappresento la mia epoca, il mio tempo”.
In conclusione ritengo che bisogna cominciare a considerare l’arte un linguaggio e non un mezzo per rappresentare la realtà. Al limite, un mezzo per interpretare la realtà, l’arte non deve “piacere”, l’arte deve porre degli interrogativi, dei dubbi, deve essere un puro e semplice esercizio di intelligenza.
cristiano.calori@fastwebnet.it
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