PROSTITUZIONE E DEGRADO ANCHE FAMILIARE
                                 di Pierluigi Piromalli

     Bergamo e provincia convivono, da lustri, con la realtà della prostituzione, che sul territorio ha generato un vero e proprio quarto potere economico gestito, in particolare, dalle lobby della criminalità dell’Est europeo. Non occorre disporre di particolari cognizioni sociologiche per comprendere le motivazioni che rendono questo mercato un centro di interessi convergenti per le diverse realtà criminali né, tanto meno, bisogna stupirsi di fronte ad una evidente inerzia delle istituzioni, che fingono di contrastare la piaga sociale sguinzagliando periodicamente battaglioni  di appartenenti alle forze dell’ordine nell’inutile tentativo di reprimere il dilagare ormai incontrollabile del fenomeno.
     Siccome è palese che la presenza delle “operatrici del sesso” sia tacitamente e generalmente accettata dalla collettività, fatta eccezione, ovviamente, per coloro che risiedono nelle aree ad alta densità di frequentazioni notturne, assume l’agro sapore della retorica l’enfasi con la quale si censura l’antico mestiere in nome di un astratto e bieco moralismo ad uso e consumo di gesuiti, ipocriti e finti perbenisti.
     Il problema, a mio parere, è certamente meno complesso di quanto lo si voglia far apparire e sarebbe di facile e pronta soluzione se solo ci si rendesse conto, politici in primis, che un Paese civile non può tollerare un decadimento di costumi che sfocia nel degrado anche ambientale. Il rimedio, adottato da decenni dai paesi anglosassoni e senza che esso abbia generato rivoluzioni culturali copernicane o pericolose derive sociali, risiede nel riconoscimento giuridico delle case di tolleranza, argomento che, nel Bel Paese, è da sempre timidamente dibattuto dai boiardi di Stato e che dagli stessi viene costantemente ed abilmente aggirato. La legalizzazione sarà il naturale approdo di un processo inevitabile che solo la matrice fortemente cattolica e conservatrice della nostra società colpevolmente si ostina a rifiutare.
     Basti pensare che lo spettacolo delle lucciole ha, da sempre, costituito materia di culto e di folklore per goliardiche compagnie di giovani, che nei baldanzosi fine settimana spesso inserivano nella programmazione della serata anche questo intinerante rito notturno per consacrare la solennità del sabato sera e per esaltare il mito della trasgressione. Continuare, quindi, ad ignorare una realtà storicamente radicata in tutte le società e che oggi richiede una imprescindibile regolamentazione, equivale a negare un originario diritto naturale intorno al quale si possono solo costruire argomentazioni etiche che semmai sanciscono meri obblighi morali.

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