la donna: la allontanano dalla piccola l'amore e la nostalgia per il primogenito, che gli è impedito vedere dall'ex marito Karenin, e la ripulsa per l'emblema vivente del suo tradimento.
     Nemmeno Aleksej Karenin, il cui cognome deriva da una parola greca che significa “testa”, per indicare l'estrema razionalità del personaggio, è un uomo onesto con se stesso: ben sapendo che la sua vita coniugale non è mai stata felice per l'estrema diversità dei caratteri, respingerà sempre la richiesta di divorzio di Anna, in nome di principi religiosi che forse servono solo a coprire la vergogna di essere stato tradito. Lo preoccupa di più la fine che farebbe la sua carriera di uomo di Stato e per questo cade ben volentieri tra le braccia ipocritamente amorevoli della contessa Ivanovna, la quale diventa l'eminenza grigia che per lui decide ogni cosa. La contessa è una fervente adepta di quel misticismo religioso tanto di moda tra i nobili di fine Ottocento; esorterà Karenin ad abbandonarsi al fervore religioso e all'aiuto di un sedicente chiaroveggente per decidere delle sorti di Anna.
     La coppia opposta ad Anna e Vronskij è quella formata da Levin e Kitty; Tolstoj mette in scena tramite essi l'amore sano e solido. La dolce Kitty, in gioventù innamorata di Vronskij, aveva rifiutato la proposta di matrimonio avanzatele da Levin: dopo la fuga del bel conte con Anna, lo shock l'aveva fatta ammalare, imponendole un periodo di cura all'estero. Intanto Levin, ben deciso a passare la propria vita amministrando la sua tenuta, pensava che mai più avrebbe sofferto per una donna. L'incontro fugace di una sera gli fa però capire di essere ancora innamorato della principessa, che a sua volta prova dei sentimenti verso quest'uomo così strano ma affidabile e sincero.
     Kitty è molto devota, ma non appartiene alla setta mistica della contessa Ivanovna: la sua religiosità è più alta e più pura, e spesso fa sentire Levin tagliato fuori dalla comprensione di qualcosa di grande che a lui non è concesso di conoscere. Una delle riflessioni più frequenti di Levin è infatti quella sulla fede: l'uomo si interroga sui misteri dell'animo umano e sulla presenza del Bene, e solo alla fine del romanzo ritrova la fede perduta o, forse, mai avuta.
     Le interpretazioni moderne tendono quasi unanimemente a concordare che Levin rappresenti, nel romanzo, l'alter-ego dell'autore; gli si attribuiscono le numerose ed articolate riflessioni sui temi più vari, dalla religione alla società, alla validità del sistema politico russo ed anche qualche episodio ritenuto autobiografico, come la lettura dei diari di Levin da parte di Kitty, prima del

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