CON LE PEGGIORI INTENZIONI
                                 di Alessandro Piperno

     Ci sono libri che, quando vengono pubblicati, fanno gridare al miracolo: critici entusiasti scomodano azzardati paragoni con mostri sacri della letteratura, qualcuno addirittura si lascia andare a presunte paternità nella scoperta del nuovo talento. Con Alessandro Piperno è successo esattamente questo: io, che non sono incline ai facili entusiasmi, ho preferito aspettare che si calmasse il polverone suscitato da quest'opera prima di leggerla e verificare se davvero ci troviamo davanti ad un libro degno delle future antologie.
     La trama è, molto sinteticamente, la storia di una famiglia di ebrei italiani, i Sonnino: dal nonno Bepy al nipote Daniel, voce narrante, si snodano le vicende di tipi umani molto particolari, sullo sfondo della borghesia "bene" di Roma. Per amor di verità, bisogna ammettere che il signor Piperno, docente universitario di Letteratura Francese a Roma, scrive davvero bene: uno stile fintamente lineare, apparentemente spoglio ma infarcito in realtà di un notevole utilizzo del vocabolario italiano, frasi quasi sempre infinite, stile Giorgio Bocca per intenderci, inframezzate da dialoghi lapidari e crudi. Questa ricchezza lessicale è un indiscutibile merito, in un'Italia in cui i best seller sono rappresentati dai librucci sgrammaticati di Moccia e dalla prevedibilmente omnitrasgressiva Santacroce; la lingua italiana è una delle più belle e ricche del mondo, era ora che qualcuno la sfruttasse appieno senza timore di essere tacciato di snobismo! Se il lessico medio di una persona rasenta a stento poche centinaia di parole, non vedo perché anche per fare letteratura sia necessario appiattirsi su questi livelli. Insomma, i vocabolari esistono per essere consultati, punto e basta: non scambiamo la varietà d'espressione con gli arcaismi snob, sempre deprecabili.
     A quest'ultima pecca bisogna ascrivere il continuo utilizzo di espressioni in francese, questa sì una leziosità evitabile, imputabile forse alla formazione culturale dell'autore; inoltre, e mi è dispiaciuto notarlo, purtroppo Piperno non riesce sempre a mantenere quell'eleganza di scrittura che ho apprezzato in generale, cedendo all'autocompiacimento di tirate arzigogolate e dalla sintassi incomprensibile: usare per più di tre volte nello stesso libro il termine "apotropaico" è un'insopportabile esibizione di erudizione che appesantisce il testo e lo fa scivolare dritto dritto in quella posizione snob cui accennavo prima, indifendibile persino da chi apprezza il coraggioso avventurarsi nell'inusuale.
     Sempre per restare in tema di critiche negative, pollice verso anche alle continue scurrilità del testo. Ora, non so se per Piperno sia qualcosa di

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