DIPENDENTI INFEDELI ED USO DELLA POSTA ELETTRONICA AZIENDALE
di Cristina Mascheroni |
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Due argomenti, in ambito informatico, sono stati toccati da recenti sentenze della Corte di Cassazione e stanno facendo discutere parecchio. Stiamo parlando della mail box aziendale, spesso utilizzata impropriamente dai dipendenti, alcuni certamente in buona fede, e delle password di accesso ai programmi aziendali, che se diffuse, anche fra colleghi, potrebbero causare dei danni al patrimonio dati dell’azienda.
Nella fattispecie, la sentenza della Corte di Cassazione n.19554/06, ha confermato la validità di un licenziamento disposto da un’azienda verso un dipendente considerato “infedele”, in quanto costui aveva divulgato la password di accesso al database aziendale all’esterno, ad un collega che era stato licenziato. I controlli effettuati dagli amministratori di rete avevano evidenziato che lo stesso account si collegava, anche più volte al giorno, da due città diverse, lontane molte chilometri l’una dall’altra, e lo strano fenomeno di collegamento “multiplo” si era ripetuto anche dopo il cambio della password da parte del dipendente. Ovviamente lo stesso ha subito impugnato il licenziamento ma, con suo sommo sgomento, si è visto rigettare l’istanza.
Le motivazioni addotte per negare il fatto sono state: in primis, egli sosteneva che l’amministratore di rete avrebbe potuto comunicare la password al collega licenziato, senza che lui ne fosse a conoscenza; oppure, qualcuno avrebbe potuto “carpire” la sua password sbirciando dietro il monitor; il collega avrebbe potuto indovinare la sua password, provandola “a caso”.
Ovviamente l’azienda, avendo fortunatamente adottato delle Policy di sicurezza (politiche operative di sicurezza inglobate nei sistemi operativi in ambito server) corrette sulla propria rete informatica, ha potuto far valere in tribunale le proprie ragioni, giustificando il licenziamento “per giusta causa” in quanto l’accesso al database aziendale, con conseguente divulgazione del patrimonio dati aziendale all’esterno, costituisce un atto di infedeltà da parte del dipendente, talmente grave da essere già da tempo utilizzato come fatto legittimo per il licenziamento (sentenza Corte di Cassazione 2560/93).
Inoltre, l’azienda stessa è stata in grado di smontare, pezzo per pezzo, le giustificazioni addotte dal dipendente sostenendo che: in primo luogo, le Policy adottate impongono all’utente di utilizzare una propria password personale, a conoscenza solo dello stesso, pertanto l’amministratore di rete avrebbe potuto solo cambiare la password, ma non conoscerla. Inoltre, la posizione del computer
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