e del monitor erano tali che nessuno avrebbe potuto passare dietro al dipendente e sbirciare la password. Da ultimo, siccome i criteri per la creazione della password prevedono l’uso di una stringa lunga da sei a trentadue caratteri, era estremamente improbabile che una persona avesse potuto indovinare, per ben due volte, la password del dipendente infedele.
È interessante notare come una corretta applicazione dei sistemi di sicurezza della rete informatica abbia potuto tutelare l’azienda da un azione potenzialmente dannosa, quale la sottrazione del patrimonio dati aziendale, con conseguente allontanamento del dipendente infedele, sottolineando che, essendo così ben protette, le informazioni erano riservate ed importanti e giustificando, con, pensiamo, estremo disappunto delle associazioni sindacali, il licenziamento per giusta causa del dipendente.
Sempre in tema di accessi informatici, di recente il Tribunale di Torino ha ritenuto legittimo l’accesso da parte del datore di lavoro alla mail box aziendale, la casella di posta utilizzata dai dipendenti (sentenza 134/06). Il Tribunale ha preso in esame il caso di un dipendente che ha denunciato il proprio datore di lavoro, il quale, durante una assenza per malattia del lavoratore, avendo la necessità di reperire urgentemente delle informazioni di lavoro, ha utilizzato le credenziali dell’account per accedere al database di posta elettronica. Durante questa ricerca, l’azienda è venuta a conoscenza del fatto che il dipendente, tramite l’utilizzo della casella di posta aziendale, svolgeva delle attività non corrette e del tutto personali, cosicché lo ha licenziato per giusta causa.
Chiariamo, per i meno esperti, che per casella di posta aziendale si intende l’indirizzo e-mail creato nei server aziendali o comunque con un nome a dominio di proprietà della società. L’uso della Web mail attraverso un Browser non rientra nel caso specifico, bensì è soggetto alle leggi relative alla navigazione in Internet tramite il PC aziendale.
Tornando al nostro caso, il Tribunale ha dato ragione all’azienda, rigettando il ricorso del dipendente, spiegando che: in primo luogo, i computer dati in dotazione ai dipendenti venivano loro forniti esclusivamente per espletare la mansione per la quale sono assunti, pertanto, gli stessi erano considerati strumenti di lavoro “di totale proprietà” dell’azienda; pari merito, l’indirizzo e-mail aziendale, contenente in maniera univoca l’identificativo dell’azienda, ne autorizzava la proprietà e il conseguente suo legittimo accesso. Inoltre, le normative interne in uso negavano ai dipendenti, in maniera chiara ed inequivocabile, la possibilità di utilizzo dell’indirizzo e-mail aziendale per usi