della nostra città ci siano preclusioni relative a chi porta il nostro accento e che il Bepi è nato anche da una reazione a questi pregiudizi.
Concetti sicuramente molto importanti quelli espressi dal Bepi, che sono in fondo l'essenza del suo lavoro, della sua opera e della sua attenzione legata alla realtà bergamasca attuale. Lui stesso quando gli ho chiesto di parlarmi di questo ha sottolineato che il dialetto che parla lui in fondo non è quello accademico, ma è già una evoluzione che rispecchia la realtà odierna e spesso ingloba “…nel proprio lessico neologismi dialettali che sono abbastanza paradossali perché attingono dallo slang giovanile, spesso infarcito di influenze addirittura straniere. Quel ‘per fàs mia sgamà’ in Fermoposta non troverà mai soluzione nei dizionari italo-bergamaschi, come sgamare, almeno per qualche anno ancora, non comparirà nel dizionario italiano. Eppure c'è. Lo si usa e lo uso anche io. Parlo come sento parlare la gente. ‘Masterìzemlo!’ è una frase che fa abbastanza ridere no? In realtà, nel nuovo mondo multirazziale che immagino, penso al bergamasco come a una cosa da barzelletta, un po' come da noi si nomina il gaì (il dialetto dei pastori). Non lo vedo sopravvivere molto perché, sebbene la ‘rozza’ provincia si arrenda con qualche combattimento in più, alla fine perirà. Spero che dalle sue ceneri nasca qualcosa, quello sì. Voglio sperare che il senegalese di Bergamo si accorga, parlando, che il senegalese di Torino parla diversamente da lui. Cosa parleranno chi lo sa...”
È stata una serata di divertimento, ma soprattutto di celebrazione del nostro dialetto che è stato in fondo il vero protagonista della serata e gli applausi e il favore del pubblico hanno dimostrato come ci sia il desiderio e la volontà di non perdere questo prezioso bagaglio culturale. Grazie quindi al Bepi e grazie a tutti coloro che operano e si attivano affinché questo non succeda.
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