gravano le morti di tanti giovani soldati italiani.
     L’armistizio era ormai imminente: il Comandante supremo alleato, generale Eisenhower, ricorda nelle sue memorie che il problema dell’armistizio con l’Italia non fu tanto per le dure condizioni imposte dai vincitori (resa assoluta ed incondizionata), ma quanto nel fatto che prima di deporre le armi, il Paese voleva la certezza che una potente formazione Alleata sarebbe sbarcata a difendere il Paese dalla rappresaglia tedesca. Gli americani acconsentirono, bleffando, in quanto non disponevano di forze militari sufficienti per difendere l’Italia, e fu programmata in codice l’operazione “Avalanche”, il più sanguinoso sbarco della storia, a Salerno. Il Generale Badoglio firmò.
     Sorsero però delle impreviste e gravi difficoltà: lo sbarco, programmato per il giorno 12 settembre 1943, fu anticipato di quattro giorni, l’8 settembre. L’Italia fu presa alla sprovvista e cercò di temporeggiare, ma la risposta di Eisenhower fu secca: non si poteva più temporeggiare, alle 18.30 del giorno 8 avrebbe annunciato al mondo intero la fine della guerra e se l’Italia non si fosse adeguata, beh… non avrebbe più avuto un solo amico al proprio fianco.
     Al Palazzo del Quirinale si riunirono il Re e tutti i suoi fedelissimi, presi dal panico. La Casa Reale, come dicevamo, stava tenendo il piede in due scarpe: da una parte giurava e spergiurava assoluta fedeltà al popolo tedesco, mentre questi ultimi non aspettavano altro che il momento dell’annuncio dell’armistizio per occupare militarmente l’Italia. Dall’altra parte, invece, aveva concesso agli anglo-americani di sbarcare sul suolo con il loro esercito.
     Il generale Badoglio si dovette adeguare alle condizioni degli alleati. L’8 settembre 1943, alle ore 19.43, lesse alla radio il “bollettino di guerra nr. 1201”, concludendolo con una frase ambigua: ordinò alle forze armate di “cessare ogni ostilità contro gli anglo-americani, ma di reagire con forza ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Si cercava di salvare il Re con la scusante che quest’ultimo doveva esercitare le funzioni di Capo dello Stato, in libero arbitrio e in assoluta libertà, anche a costo di abbandonare il Paese. Egli invece in quel momento avrebbe dovuto tenere fede ai suoi doveri nei confronti dei sudditi: parlando con i tedeschi, anche a costo di perdere la corona o la vita, dando direttive chiare e non ambigue avrebbe potuto aiutare il Paese ad uscire dalla confusione nella quale era precipitato. Quel giorno verrà invece sempre ricordato nella Storia come il giorno della “fuga ingloriosa del Re verso terre più sicure”.
     Non è chiaro chi abbia organizzato la fuga, ci fu una sorta di “palleggio” delle responsabilità, sta di fatto che il popolo pensava che il Re fosse al suo posto, il

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