burocrati, sette militari e cinque ministri) con lo scopo di coprire i veri artefici del colpo di Stato e far rimanere al potere il triumvirato formato da lui stesso, Acquarone e Ambrosio, la cui struttura portante doveva essere l’Esercito.
     Il Governo Badoglio sciolse subito le organizzazioni fasciste, eliminò il Tribunale Speciale, arrestò subito parecchi gerarchi (scarcerandoli accidentalmente poco tempo dopo e lasciandoli fuggire in Germania), annullò la Carta della scuola e la Carta del Lavoro ed abolì il saluto romano delle forze armate. Tutto questo senza prendere posizione sulle decisioni più importanti e le interrogazioni poste dal Parlamento Italiano: dimenticando di cancellare dal Codice “i tratti caratteristici dell’ideologia fascista”, quali per esempio il razzismo, contribuì in maniera non indifferente all’eccidio di 7642 ebrei italiani nei lager tedeschi.
     Badoglio, inoltre, per accontentare il monarca, cercava di tenere il piede in due scarpe, quella tedesca e quella Alleata: mentre nella località di Tangeri già si tessevano nuovi rapporti, in Italia, i Ministri, incontrando il diffidente ministro degli esteri Ribbentrop, negavano indignati che ci fossero delle trattative in corso con gli Alleati. Comunque sia, Hitler non era disposto a farsi prendere per il naso da quella che chiamava “una cricca di gentaglia”: la sera stessa dell’arresto di Mussolini, prevedendo il voltafaccia dell’Italia, ordinò ai suoi uomini di “metter mano, con la rapidità del fulmine, sull’intera banda, mandando una divisione di granatieri motorizzati a marciare su Roma per arrestare il Re, Badoglio e tutti quanti, senza tante cerimonie”.
     A distanza di anni, analizzando i fatti, dobbiamo convenire che la colpa che attribuiamo ai Savoia non è tanto di aver preso la decisione non più rinviabile di far uscire l’Italia dal conflitto mondiale, senza soppesarne troppo le conseguenze, né tanto meno la doppiezza dei Ministri nei confronti dei tedeschi, quanto il fatto che il Re abbia pensato in primis solo alla sua salvezza e, solo in seguito, al bene del Paese. Le conseguenze di questo suo comportamento furono estremamente pesanti nei giorni successivi all’annuncio dell’armistizio, quando l’esercito italiano, lasciato praticamente senza ordini chiari e nella più totale confusione, fu disarmato e deportato nei campi di concentramento in Germania, quasi senza resistenza, ma di certo non per mancanza di coraggio dei nostri soldati (emblematica la resistenza dei nostri a Cefalonia) quanto perché abbandonato a se stesso. Se da una parte dobbiamo riconoscere al Re il merito di aver “sganciato” l’Italia dalla Germania, su di lui ricadono le colpe per tutti i fatti sanguinosi successivi all’armistizio ed alla sua fuga, sulla sua coscienza

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